Dopo 13 anni è ancora aperta, e forse lo sarà sempre, la ferita di Lino Aldrovandi, padre di Federico che all’alba del 25 settembre 2005 morì per mano di quattro agenti della polizia. Era quasi mattina quando Federico era in procinto di tornare nella sua casa di Ferrara dopo una notte fuori: sulla strada incontra però quattro agenti di polizia, che vogliono effettuare un controllo. Il tutto però finisce in tragedia: un giovane già ammanettato, a terra, che invocava aiuto e che viene colpito a sangue. Per quella morte i quattro agenti – Paolo Forlani, Monica Segatto, Enzo Pontani e Luca Pollastri – sono stati condannati in via definitiva per eccesso colposo in uso legittimo delle armi, a tre anni e sei mesi – tre anni poi cancellati dall’indulto. Una sentenza possibile grazie ad alcune fondamentali testimonianze. Ma a parlare era soprattutto il corpo di Federico, quasi completamente ricoperto di lesioni ed ecchimosi (oltre 50 come è stato stabilito poi dall’autopsia).
“Ore 06:04, la fine della vita di un ragazzo di 18 anni”: sono le parole del papà di Federico, Lino Aldrovandi, che da ormai 13 anni è tormentato da un pensiero: ’’Se solo avessero ascoltato quelle urla di basta e aiuto, anziché, mentre lui bloccato a terra dagli altri tre, veniva tempestato di calci dal quarto in piedi’”. Un’immagine che Lino definisce “aberrante, inaccettabile e vigliacca, sotto tutti i punti di vista. E Federico, si ricordi sempre, non aveva commesso alcun reato”. In questi tredici anni di dolore incancellabile la famiglia Aldrovandi – Lino, Patrizia e il fratello Stefano, che era ancora un ragazzino nel 2005 – hanno ricevuto l’affetto di tanti, nella loro Ferrara e da tutta Italia. Il volto di Federico è un vessillo negli stadi, è un grido che si propaga ogni anno, oggi nell’anniversario e il 17 luglio, compleanno di Federico, e in mille altre occasioni. Ma questi tredici anni di attese per una giustizia che poi è arrivata – con la sentenza definitiva in Cassazione e le parole durissime del procuratore generale che definì i quattro agenti “schegge impazzite” e li accusò di negligenza, imprudenza, depistaggi e cooperazione colposa – sono stati resi ancora più difficili da continue polemiche, tramutatesi talvolta in affronti, da parte ora di sindacati di polizia ora di parlamentari che negarono perfino il sangue sparso di Federico sul tavolo dell’obitorio. L’ultima bufera che ha travolto il ricordo del 18enne ferrarese si è sollevata per le parole del questore di Reggio Emilia, Antonio Sbordone, sicuro che se tredici anni fa ci fosse stato il taser a disposizione dei poliziotti “Aldrovandi sarebbe ancora vivo”.
Parole cui la famiglia ha risposto con dolorosa durezza. E ancora oggi Lino insiste: “Mi domando spesso, se gli fosse stato concesso, chissà cosa ci avrebbe raccontato” di quanto gli era accaduto. Ma “quella maledetta mattina qualcuno decise del suo destino, ma anche del mio e della mia famiglia. Non è giusto sopravvivere alla morte di un figlio e non potrà mai esistere pace nel mio cuore, finchè ogni volta rivivrò nei pensieri, attimo per attimo questa orribile e disgustosa storia, perché quella pace e quella gioia di vivere si chiamava Federico e Federico non cè più, e a me è rimasto di portargli dei fiori e l’amore di tanti cuori”. Tanti cuori che si ritroveranno il 29 settembre a Ferrara, in viale Alfonso I d’Este, dalle 18. Ci saranno Lo Stato Sociale, Marina Rei, Paolo Benvegnù e tanti altri. Ci sarà chi ricorda Federico e chi non smette di chiedere “Giustizia per Aldrovandi”.