Tragedia del Pollino: sette indagati, tra cui 3 sindaci

    Sette indagati in tutto: questo il numero dei responsabili per l’ondata di piena del torrente Raganello a Civita, in provincia di Cosenza, dove il 20 agosto scorso persero la vita dieci persone. Tra i sette, raggiunti dagli avvisi di garanzia ci sono i sindaci di Civita, San Lorenzo Bellizzi e Cerchiara di Calabria, Alessandro Tocci, Antonio Cersosimo e Antonio Carlomagno; il presidente del Parco Nazionale del Pollino, Domenico Pappaterra; Gaetano Gorpia, dirigente dell’ufficio Biodiversità dei Carabinieri Forestali, e le guide escursionistiche Giovanni Vancieri e Marco Massaro.
    Lo stesso procuratore Facciola ha ribadito quello che aveva promesso nelle scorse ore, ossia un’indagine “rapida ed efficace”, che sia in grado di accertare eventuali responsabilità per la tragedia del Raganello. A meno di un mese dall’improvvisa ondata di piena che ha travolto e ucciso molti degli escursionisti che si erano avventurati nel torrente è dunque arrivata la prima svolta. “Abbiamo lavorato senza sosta per dare una risposta a tutti coloro che sono rimasti coinvolti nella tragedia del torrente Raganello: alle vittime ed ai loro familiari, in primo luogo, e poi – ha dichiarato il procuratore – ai feriti ed a quanti, pur essendo usciti indenni, hanno subito un grave trauma psicologico per la terribile vicenda che hanno vissuto”.Oggi il procuratore Eugenio Facciolla ha incontrato i consulenti, i tecnici e la polizia giudiziaria per fare il punto della situazione.
    Gli avvisi sono stati emessi, ha detto Facciolla, “in considerazione degli atti istruttori irripetibili che devono essere effettuati”. Gli indagati hanno infatti diritto a essere rappresentati da un legale e a nominare periti di parte. Le informazioni di garanzia verranno notificate in queste ore dai carabinieri forestali. Nel disastro morirono 10 escursionisti e altri 11 rimasero feriti. “Ci sono delle attività che devono essere svolte nelle prossime ore, in maniera garantita per gli indagati e stiamo procedendo a tamburo battente. Sin dai primi passi dell’inchiesta – ha aggiunto il procuratore – abbiamo lavorato senza sosta per dare una risposta a quanti sono rimasti coinvolti nella tragedia del torrente Raganello: alle vittime ed ai loro familiari, ai feriti e a quanti, pur essendo usciti indenni, hanno subito un grave trauma psicologico per la terribile vicenda che hanno vissuto. Mi sembra doveroso stringere i tempi ed accelerare, per le vittime e per i feriti, e lo stiamo facendo con tanti sacrifici”.

    “Il nostro impegno, in questo senso è massimo”, ha detto ancora Facciolla. “Ci stiamo avvalendo delle migliori competenze tecniche che rappresentano il meglio di quanto possa offrire, in questo senso, la Calabria”.
    Quel giorno il torrente ha travolto decine di persone. Molte, sorprese dal flash flood – la piena improvvisa generata da un temporale a monte – sono riuscite ad arrampicarsi su massi o costoni di roccia, mettendosi in salvo. Undici sono rimaste più o meno gravemente ferite nel tentativo di sottrarsi alla violenza dell’acqua, che si è incanalata nelle gole strette fra pareti di roccia alte centinaia di metri ed ha preso una velocità come fosse stata in una enorme grondaia.
    Ad altre dieci, sorprese dalla piena in uno dei punti più stretti delle gole, il torrente non ha lasciato scampo. Nove di loro erano turisti, arrivati da Puglia, Lombardia, Campania e Lazio per ammirare le bellezze della Sila. Ad accompagnarli c’era Antonio De Rasis, appena trentenne ma considerato una delle guide più esperte della zona, da tempo inquadrato nel Soccorso alpino, e in passato fra i primi ad intervenire anche a Rigopiano.
    De Rasis conosceva i torrenti, sapeva cosa fare in situazioni complesse, magari quel 20 agosto ha anche capito che la piena stava per arrivare, anticipata come di consueto da un boato e un vento gelido che si incanala fra le gole, ma non ha potuto fare nulla. L’acqua ha travolto tutti prima che riuscissero a guadagnare l’uscita. “Una tragedia terribile e, al contempo, evitabilissima”, ha tenuto a sottolineare, infine, il procuratore Facciolla.
    Parole forti e legate probabilmente ai primi risultati di perizie, sopralluoghi e ispezioni disposti nell’area della tragedia. Il team di esperti nominato dalla procura, di cui fanno parte anche diversi doventi dell’Università della Calabria, ha battuto la zona palmo a palmo, sia a monte sia a mare dell’area della tragedia, esaminando persino tutti i punti di accesso alle gole. Nel frattempo, le indagini degli investigatori hanno portato alla luce il caos burocratico che ha reso il Raganello sostanzialmente una zona franca.
    Il torrente attraversa una zona ampia, che lambisce diversi paesi, tutti del tutto o in parte inglobati nell’area ampia del parco del Pollino. A disciplinare l’accesso al torrente c’è solo qualche vecchissima ordinanza comunale, che per lo più risale agli anni in cui il Raganello era frequentato solo da abitanti della zona e (pochi) appassionati di torrentismo. Non esiste un regolamento condiviso, o meglio c’è, ma è solo una bozza su cui le varie amministrazioni non hanno mai trovato la quadra. Si chiama “Gole sicure”, ma non è mai divenuto nulla di più concreto di una dichiarazione di intenti.
    “Ci stavamo lavorando” hanno detto tutti i sindaci poche ore dopo la tragedia “anche con l’aiuto dell’ente parco”, il cui direttore però si è da subito affrettato a sottolineare che “il Parco ha una competenza residuale che è quella di tutelare l’ecosistema e non in materia di accessibilità o di garantire la sicurezza ai fruitori”. Una giungla burocratica, insomma. Risultato, zero controlli. “L’accesso non è controllato e le informazioni ai visitatori sono pressoché assenti. Io stesso, che lavoro qui da due anni – ha detto poche ore dopo la tragedia il capo del dipartimento di Protezione civile Antonio Borrelli – ho scoperto solo la notte scorsa la totale assenza di informazioni e di un sistema di controlli di accesso all’area”.
    In più, da qualche anno la zona è estremamente frequentata. Da quando il torrente si è convertito in una delle principali mete turistiche della Sila, ad affrontare le gole non sono solo abitanti del luogo ed esperti di torrentismo, ma anche turisti totalmente privi di preparazione e attrezzatura. Un business attorno a cui sono fiorite decine di associazioni, le cui competenze nessuno si è mai preoccupato di verificare. Adesso sono tutte sparite da social e web, ma per anni, in cambio di una modica cifra, hanno fatto passeggiare nelle gole gruppi più o meno numerosi di turisti.
    Altri escursionisti, invece, grazie alla totale mancanza di controlli, hanno esplorato autonomamente il Raganello in costume e infradito. Una situazione di rischio di cui nessuno sembra essersi mai preoccupato più di tanto, fino a quando il torrente non ha travolto e ucciso dieci persone.