Sono molte le coppie che, durante il matrimonio, per specifiche esigenze professionali o personali, decidono di continuare a vivere separatamente mantenendo quella che viene definita in termini legislativi, “residenza disgiunta”.
Contrariamente a quanti molti sanno, questo punto è consentito dalla legge, secondo la quale la saparazione abitativa da parte i due coniugi per un determinato periodo di tempo non comporta automaticamente una violazione dellobbligo di coabitazione, uno dei molteplici doveri familiari riconosciuti dal nostro ordinamento.
Nello specifico, secondo questo principio una volta sposati i coniugi devono impegnarsi a convivere in maniera costante e continuata presso quella che di comune accordo viene riconosciuta come labitazione familiare.
Potrebbe però accadere che per motivi professionali (ad esempio in seguito ad un trasferimento della sede di lavoro) o personali, il marito o la moglie siano costretti a cambiare città lasciando labitazione familiare e cambiando così residenza. In questo caso, se la decisione risulta concordata da entrambi i coniugi, non cè alcuna violazione dellobbligo di coabitazione, cosa che invece avviene nei casi di abbandono unilaterale del tetto coniugale oppure di mancato accordo sulla residenza familiare. Solo in questultimi due casi, quindi, si potrebbe eventualmente chiedere la separazione per addebito.
Qualora la decisione di avere la residenza disgiunta sia concordata, allora non ci sono rischi. Inoltre, dal punto di vista fiscale ed economico se le abitazioni di marito e moglie sono dislocate in due comuni differenti, entrambe sono considerate come prima casa e di conseguenza sono esenti dal pagamento di Imu e Tasi.
Ciò non avviene qualora i coniugi abbiano due residenze differenti ma nello stesso Comune. In questo caso, infatti, solo una delle due abitazioni è considerata come prima casa – e quindi è esente da Imu e Tasi – mentre laltra è a tutti gli effetti una seconda casa e soggetta al pagamento delle imposte.