La misura del livello di povertà degli italiani adottato dalla banca d’Italia, passa attraverso il reddito equivalente quando inferiore al 60% di quello mediano. Ebbene, da quando l’Istituto di via Nazionale ha iniziato a seguire attentamente tale situazione, nel 2016 è stato raggiunto il massimo storico (annoverando età, area geografica e professione), con la povertà che ha toccato il 23% degli italiani residenti. L’eccezione è rappresentata soltanto dai pensionati, qui infatti la percentuale di quelli a rischio è in ribasso, in virtù del 16,6% del 2016, segnato rispetto al 19,0% del 2006. Nella sua ’drammaticità’, fa ben sperare il fatto che al Sud il rischio di povertà – sebbene comunque alto – si mantiene stabile mostrando, esattamente come dieci anni fa, una percentuale del 39,4%. Di contro, continuano a peggiorare le condizioni dei nuclei aventi un capofamiglia di età inferiore a 35 anni (fascia anagrafica aumentata dal 22,6 al 29,7%), di quanti vivono al Nord (passati dall’8,3 al 15%) e, su tutti, le condizioni degli immigrati, con il rischio povertà schizzato addirittura dal 33,9 al 55%. La Banca d’Italia fa inoltre notare l’incredibile disparità di distribuzione della ricchezza delle famiglie italiane, con il 30% di famiglie più povere che detiene l’1% della ricchezza netta mentre, di contro, il 5% più ricco ne controlla il 30%. Infine, sottolineando che, rispetto a quello di 10 anni fa, il reddito equivalente resti ancora inferiore di 11 punti percentuali, Bankitalia evidenzia che nel 2016 il reddito equivalente medio delle famiglie, rispetto al 2014 è cresciuto del 3,5%, bloccando finalmente la continua caduta originata addirittura nel 2006.
M.