(Adnkronos) – In caso di estradizione in Ungheria per Gabriele Marchesi, accusato come Ilaria Salis (già detenuta in un carcere di massima sicurezza ungherese) di aver aggredito dei neonazisti a Budapest durante una contromanifestazione l’11 febbraio 2023 non ci sarebbe nessuna violazione dei diritti umani. E’ quanto sostiene l’amministrazione penitenziaria ungherese nell’integrazione in 9 punti inviata al ministero della Giustizia e alla corte d’Appello di Milano che aveva chiesto rassicurazioni sulle condizioni del carcere dove verrebbe inserito il 23enne, attualmente ai domiciliari a Milano, in caso di consegna.
“Se la persona viene consegnata e presa in carico il suo collocamento si svolgerà in condizioni coerenti con quanto previsto dalla Convezione europea sui diritti dell’uomo, dalla raccomandazione delle Nazioni Unite sulle linee guida minime per il trattamento umano delle persone arrestate nonché – assicura l’amministrazione penitenziaria ungherese – dalla raccomandazione numero R (2006)2 del Consiglio d’Europa sulle regole penitenziarie europee”.
“Al detenuto – si sottolinea nel documento – vengono costantemente garantite le condizioni previste dalla normativa europea e nazionale in materia sia in termine di spazio abitativo, servizi igienici, accesso all’aria fresca e altri requisiti”.
Durante la procedura di consegna “non è possibile prevedere con chiarezza” in quale istituto penitenziario ungherese verrà inserito per la prima volta il detenuto tuttavia, “non ha nemmeno rilevanza” perché il detenuto “verrà collocato secondo la disponibilità dei posti e rispettando la Convenzione europea dei diritti dell’uomo” e non solo. A ogni detenuto “è garantito, per legge,” uno spazio ‘personale’: almeno 6 metri cubi nel caso di sistemazione individuale e almeno 4 metri quadrati di superficie abitabile per persona se invece si condivide una cella, si spiega.
Nel documento, che entra a far parte del fascicolo milanese, si parla di celle attrezzate, di strutture moderne e personale qualificato, carceri in cui è garantita l’assistenza sanitaria, e dove oltre ai colloqui il detenuto può ‘spendere’ “il tempo libero” in modo “produttivo con l’istruzione e lo sport, oltre a tutto ciò il ruolo delle cerimonie religiose e della cura spirituale può essere significativo nel raggiungimento degli obiettivi di reinserimento”.
“Ai rappresentanti consolari e diplomatici del rispettivo Stato – sottolinea poi l’amministrazione penitenziaria ungherese – in Ungheria viene data la possibilità, previa consultazione, di entrare nel relativo istituto penitenziario e ispezionare le condizioni di detenzione, nonché il personale del consolato del rispettivo Stato può visitare il detenuto”, si legge ancora nel testo.
E ai giudici della corte d’appello di Milano che chiedevano quali iniziative fossero state assunte da Budapest per garantire il giusto processo e l’indipendenza della magistratura, il ministero della Giustizia ungherese ricorda che “nel corso dei 5 anni e mezzo trascorsi dall’avvio della procedura in base alla risoluzione del Parlamento europeo approvata il 12 settembre 2018 il Consiglio non ha adottato una decisione, vale a dire non ha stabilito la sussistenza degli evidenti rischi di una grave violazione dei principi fondamentali dell’Ue da parte dell’Ungheria”.