(Adnkronos) – “Rilanciare e ammodernare il Ssn è possibile sin d’ora, attivando dieci leve e mettendo in campo una serie di azioni urgenti che per troppo tempo sono state rinviate. La leva del finanziamento, della programmazione e della valutazione, per esempio, potrebbero essere usate molto meglio da parte del livello nazionale, come pure il livello regionale dovrebbe impegnarsi di più per convergere sui grandi obiettivi strategici nazionali. Va riletto il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, per garantire quell’equità di accesso che serve alle persone e quindi arrivare a processi decisionali non solo partecipati, ma anche tempestivi e soprattutto che siano poi realmente messi a terra per produrre i cambiamenti necessari. Per questo Salutequità, nel suo primo Summit ha voluto contribuire a mettere in fila, a fronte delle maggiori criticità del sistema, le leve per il cambiamento e la loro soluzione”. Così Tonino Aceti, presidente di Salutequità nel suo intervento in occasione del primo summit ‘Equità e Salute in Italia’, giornata di dibattito promossa oggi a Roma da Salutequità con il patrocinio di Federsanità e Conferenza delle Regioni.
Il Servizio sanitario nazionale si basa su tre principi – si legge in una nota – universalità dell’ assistenza, equità d’accesso ai servizi, solidarietà anche di carattere fiscale per finanziare il sistema. Ma le cose ancora non vanno come dovrebbero e Salutequità, laboratorio italiano per l’analisi, l’innovazione e il cambiamento delle politiche sanitarie e sociali, lo ha sottolineato dalla sua nascita in piena pandemia, evidenziando più volte, nei suoi Report, le criticità del sistema e le possibili soluzioni. Ad esempio se per il prossimo anno potremo contare su 134 miliardi di finanziamento per il Ssn – dettaglia la nota – l’Ufficio Parlamentare di Bilancio però, nell’analisi della legge di Bilancio in corso di approvazione, ha già avvertito che “per il 2024 non si può escludere che l’insieme delle misure implichi una maggiore spesa superiore all’incremento del finanziamento”. Esistono inoltre differenze regionali di finanziamento della sanità.
Nel 2021 il finanziamento effettivo pro-capite medio è stato pari a 2.072,8 euro. Agli estremi l’Emilia-Romagna con 2.227,6 euro e la Regione Calabria con 1.925,7 euro (Fonte: 18° Rapporto Sanità, Crea Sanità). E i determinanti sociali della Salute come livello di istruzione, reddito e occupazione pesano nel riparto del Fondo sanitario nazionale solo per lo 0,75%. A fronte di 134 miliardi di euro di finanziamento del Ssn per il 2024, il monitoraggio e la valutazione della garanzia dei Lea da parte delle Regioni viene effettuato con soli 22 indicatori “core” previsti dal Nuovo sistema di garanzia (Nsg) dei Lea.
Anche la capacità di spesa per investimenti è molto differenziata: gli investimenti pro capite degli enti sanitari – riferisce la nota – nel 2021 passa dai 72 euro del Trentino-Alto Adige, ai 18 euro della Campania, ai 13 della Calabria. Nonostante ciò, sono 10,4 miliardi di euro le risorse non ancora utilizzate per la sottoscrizione degli accordi previsti dall’art. 20 della L. 67/1988, anche in questo caso con profonde differenze tra le Regioni.
E mancano all’appello circa 20-30.000 medici (soprattutto medici di medicina generale e alcuni specialisti in determinate specialità) e 65.000 infermieri, tra cui gran parte anche dei 20.000 infermieri di famiglia e comunità per l’attuazione della riforma del territorio (DM 77/2022) prevista dal Pnrr, come dichiarato dalla Corte dei conti a fine 2022. Molto diversa, comunque, la distribuzione degli organici nelle Regioni italiane. Per i medici si va dai 2,64 della Valle d’Aosta per mille abitanti, 2,56 della Sardegna, 2,34 della Toscana e della Liguria agli 1,50 del Lazio, 1,51 della Lombardia, 1,63 del Veneto e 1,64 del Molise. Per gli infermieri si va dai 6,94 per mille abitanti del Friuli-Venezia Giulia, 6,70 della Liguria, 6,34 dell’Emilia-Romagna e di Bolzano ai 3,33 della Campania, 3,65 della Sicilia, 3,83 della Calabria e 3.93 del Lazio.
Il risultato è che nel 2022 è saltata circa 1 prestazione di specialistica ambulatoriale su 10 rispetto al 2019 – conclude la nota – Quasi 3,4 milioni di prime visite in meno (-15,5%) e oltre 5,5 milioni di visite di controllo in meno (17%). Inoltre, nel 2021 persi 1 milione e 200 mila ricoveri rispetto al 2019. Anche la rinuncia alle cure ha visto un’impennata negli anni della pandemia arrivando all’11% del 2021, quasi il doppio rispetto al 2019. Nel 2022 la rinuncia alle cure si attesta a circa il 7%, con una diffusione lungo tutta la penisola e per tutte le fasce di popolazione più e meno ricche.
Anche l’accesso all’innovazione diventa un percorso ad ostacoli. Secondo i dati prodotti da Iqvia – emerge dal report di Salutequità – l’Italia impiega 429 giorni per garantire la disponibilità dei farmaci ai pazienti dal momento l’autorizzazione europea. Se la media europea è pari a 511 giorni, alcuni Paesi come Svizzera, Danimarca e Germania hanno tempi diaccesso più ridotti rispetto all’Italia: 191 giorni, 176 e 133. Nel 2022 il tempo medio della sola procedura italiana di autorizzazione e rimborso è stato pari a 206 giorni per le nuove entità chimiche (non generiche) e 49,6 giorni per i farmaci generici. A questa tempistica vanno aggiunti oltre 60 giorni per la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Non è tutto: in 7 Regioni i pazienti devono aspettare anche i tempi di inserimento nei Prontuari Terapeutici vincolanti che ritardano ulteriormente l’accesso ai farmaci.
Anche la telemedicina è ancora a macchia di leopardo. Nel periodo 2019-2021 – secondo Salutequità – il Ministero della Salute ha mappato la presenza di 369 esperienze di telemedicina, con differenze regionali che vanno dalle 66 esperienze della Lombardia alle 3 del Friuli-Venezia Giulia. Il Pnrr stanzia diverse risorse per la digitalizzazione della sanità, a partire dal miliardo di euro previsto per la telemedicina. Nonostante la sua importanza, la telemedicina non è ancora inserita formalmente nel Lea e questo potrebbe creare un problema di sostenibilità.
Il 1° Summit Equità e Salute in Italia è realizzato con il contributo non condizionato di Ucb Pharma, Bristol Myers Squibb, Beigene, Merck Serono Spa, Grunenthal e Sanofi.