I segnali sarebbero positivi, le previsioni porterebbero a pensare ad un pil al rialzo ma, avverte il Csc di Confindustria nel rivedere al rialzo le proprie stime di crescita elaborate nel settembre scorso, su tutto ciò potrebbe influire negativamente lincertezza della politica. Se infatti la crisi politica, avverte Confindustria, “dovesse rivelarsi lunga e disordinata potrebbe costituire un pesante rischio al ribasso per l’economia del Paese, peggiorando le aspettative e incidere sulla già fragile risalita della domanda interna e della produzione industriale”. Ma al momento atteniamoci agli aspetti positivi elaborati: l’economia italiana torna a crescere anche se lentamente e a corrente alternata e il Pil aumenta dello 0,9% nel 2016 e dello 0,8% nel 2017 per toccare l’1% nel 2018. Dunque almeno su una cosa sembrano essere tutti concordi: la recessione è un brutto ricordo, “ormai lontana” e gli economisti di Confindustria archiviano le catastrofiche previsioni elaborate prima del referendum costituzionale: La scelta di dar vita ad un nuovo governo ha infatti scongiurato lo scenario per il Csc peggiore, quello di elezioni immediate”. Ma entriamo nel vivo dellanalisi: “Le misure adottare non vanno interrotte semmai rafforzate”, raccomanda allesecutivo targato Gentiloni il Csc, in quanto deve dare continuità agli interventi economici, varati dall’esecutivo Renzi considerato che su alcuni nodi “si è cominciato a operare e qualche risultato apprezzabile è iniziato ad arrivare”. Sul tavolo infatti, elenca il rapporto d’inverno di Confindustria, “gli ostacoli gravi e strutturali che richiedono di essere affrontati”: dall’alta disoccupazione, sopratutto tra i giovani alle sofferenze bancarie, dal credit crunch all’elevata tassazione, dai tempi lunghi della giustizia alla burocrazia ancora pesante. Un dato su tutti, ricorda ancora il Csc, per dare il clima sociale in cui l’esecutivo si troverà ad operare: i poveri assoluti sono 4,6 milioni, il 157% in più del 2007. Intanto, si sottolinea, il Jobs act continua a trainare i contratti a tempo indeterminato, conseguentemente alla decontribuzione e ai contratti a tutele crescenti che ne derivano: dell’aumento dell’occupazione dipendente registrato lo scorso anno (+287mila unità annue a dicembre 2015), circa l’84% è avvenuto con contratti a tempo indeterminato così come i quasi due terzi dei 220mila nuovi posti di lavoro creati nei primi 9 mesi del 2016. In cinque anni, tra il 2013 ed il 2018, stima il Csc, l’occupazione potrebbe registrare un aumento di 905mila posti di lavoro. Il recupero dell’occupazione resta, comunque, ancora inferiore per oltre 1 milione di unità rispetto ai livelli pre-crisi del 2008. Nello specifico per il prossimo triennio Confindustria stima un aumento dell’occupazione stimata in Ula del +1,1% quest’anno, +0,6% nel 2017 e +0,7% nel 2018 tornando così alla fine del periodo di previsione a 24,1 milioni di unità, appunto 905mila sopra al minimo di fine 2013. E la crescita del deficit prevista nel 2017 è dovuta alla “minore dinamica del Pil nominale, +1,6% contro il 2% stimato dal governo” mentre quella messa in conto per il 2018 sconta”, spiega il Csc, anche “una diversa considerazione della clausola di salvaguardia che dovrebbe scattare il 1° gennaio 2018” e che comporterebbe l’aumento delle aliquote Iva e delle accise sui carburanti il cui gettito complessivamente atteso, annota ancora il Csc, è pari a 19,5 miliardi. Per il Centro Studi di Confindustria oltre al deficit a non diminuire sarà anche il debito pubblico previsto al 132,7% del Pil nel 2016 (dal 132,3 delle precedenti stime), al 133,4 nel 2017 e al 133,7 nel 2018.