(Adnkronos) – Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana non va processato per il cosiddetto ‘caso camici’. Lo hanno ribadito i giudici dell’appello di Milano che hanno respinto la richiesta del pg Massimo Gaballo, il quale condividendo l’atto di appello della procura, ribadiva la richiesta di rinvio a giudizio per gli imputati.
Fontana era già stato prosciolto, lo scorso 13 maggio, dal gup Chiara Valori, la quale aveva stabilito il non luogo a procedere “perché il fatto non sussiste” per frode in pubbliche forniture per il governatore lombardo, per il cognato Andrea Dini proprietario della società Dama, per Pier Attilio Superti vicesegretario generale della Regione, per Filippo Bongiovanni e Carmen Schweigl, rispettivamente ex dg e dirigente di Aria, la centrale acquisti della Regione. Le motivazioni saranno rese note tra 90 giorni.
Quello che si contesta nel ricorso della procura – il pg ha insistito affinché i cinque imputati fossero mandati a processo – è il modo in cui è stato considerato il contratto tra la Regione e la società Dama, ossia come un accordo tra privati e non con la pubblica amministrazione. Le azioni contestate sono “funzionali alla tutela degli interessi personali del governatore Fontana e di quelli economici della Dama spa riferibile alla moglie e al cognato” e “hanno avuto l’esito di posporre l’interesse pubblico (alla completa e tempestiva esecuzione della fornitura) ad interessi privati convergenti degli imputati Fontana e Dini, con il concorso degli altri imputati, chiamati a dare esecuzione alle disposizioni del presidente della Regione Lombardia” secondo la pubblica accusa.
Di diverso avviso le difese che, in aula, hanno sempre difeso l’operato e la trasparenza dell’operazione. Oggi i giudici hanno confermato il proscioglimento come già fatto, in precedenza, dal gup Valori che nelle sue motivazioni aveva sottolineato come la ‘trasformazione’ del contratto riguardo la consegna dei camici – in piena emergenza Covid – da fornitura a donazione “si è realizzata con una novazione contrattuale che è stata operata in chiaro, portata a conoscenza delle parti, non simulata ma espressamente dichiarata” e quindi non ci fu “inganno”, ma un risparmio per Regione Lombardia”.