(Adnkronos) – “L’essere stati in grado di mettere a disposizione dei pazienti” con sindrome emolitico-uremica (Seu) atipica “queste soluzioni capaci di cambiare la storia naturale della malattia, con il supporto di clinici, associazioni pazienti, è motivo di orgoglio. Non ci fermiamo qui. Il nostro obiettivo è andare oltre il trattamento, aiutare le persone che sono colpite direttamente o indirettamente perché possano avere un supporto per migliorare il quotidiano e per accelerare la diagnosi”. Così Anna Chiara Rossi, Vp& general manager Italy DI Alexion, AstraZeneca rare disease, nel suo intervento alla conferenza stampa di stamattina a Milano sulla notizia del rimborso ottenuto da ravulizumab per i pazienti con questa malattia rara.
“Siamo impegnati perché i centri che non hanno gli strumenti per una diagnosi tempestiva, possano farla, forniamo i test – continua Rossi – Siamo a disposizione quando i centri di riferimento decidono di creare eventi educazionali per migliorare la conoscenza di questa patologia nei centri meno esperti, ma che possono intercettare il paziente per tempo ed evitare che la diagnosi arrivi troppo tardi, il paziente debba andare in dialisi o avere un trapianto”. Fare ricerca in questo ambito “significa assumersi un grande rischio di impresa – sottolinea Rossi – Poi però, se si riesce ad avere successo, si hanno risultati positivi non solo per i pazienti ma per le famiglie, per la loro qualità di vita, che è la nostra mission generale. Da 31 anni – riflette la manager – la nostra missione è focalizzata nello sviluppo e nel mettere a disposizione dei pazienti farmaci che possano fare la differenza. Sono cure per patologie rare altamente invalidanti e mortali come queste, per cui non ci sono opzioni terapeutiche e su cui molte aziende non investono per l’alto rischio”.
L’Italia ha contribuito allo sviluppo di questa molecola. “Hanno partecipato 2 centri e arruolato 1 solo paziente – precisa Rossi – dimostrando la complessità di questo tipo di ricerca. Come azienda abbiamo in sviluppo 32 studi, coinvolgiamo circa un centinaio di centri e arruolati 120 pazienti, un paziente a centro. Questo a testimoniare l’impegno che una azienda deve affrontare” in questo settore. “Al di là di mettere a disposizione un farmaco innovativo ed efficace – osserva il capo di Alexion – vogliamo trovare soluzioni che migliorino la qualità e la vita del paziente, dalla diagnosi alla quotidianità. Il lancio di questo nuovo farmaco ne è un esempio”.
“Noi – continua – nel 2011 abbiamo messo a disposizione, in Usa e Ema, il primo farmaco per il trattamento di questa patologia e che però doveva essere somministrato ogni 2 settimane. Certo una grande differenza per la vita, ma l’azienda non si è fermata – ribadisce Rossi – e ha lavorato allo sviluppo di una molecola con una cinetica che inibisce in modo sicuro completo efficace e prolungato” il fattore 5C della cascata del complemento. “Il paziente – aggiunge – si reca così 6-7 volte all’ospedale invece di più di 20 all’anno. Questo significa avere una vita normale, viaggiare, andare in vacanza”.
Le patologie rare interessano pochi e “ricevono meno risorse da parte del Servizio sanitario nazionale – sottolinea la manager – Compito di un’azienda come la nostra è di dare un supporto anche a livello psicologico. Durante il Covid, parlando di pazienti fragili – ricorda Rossi – c’era il tema di far accedere ogni 2 settimane i pazienti all’ospedale con il rischio di contrarre l’infezione. Uno dei progetti che abbiamo supportato e che supportiamo è il progetto Arco, che permette il trasporto all’ospedale, anche per chi non può affrontare la spesa. Sempre con il coinvolgimento del clinico – chiarisce – cerchiamo di poter effettuare la terapia a casa de paziente. Con la somministrazione ogni 8 settimane, sarà più semplice. A tale proposito, abbiamo raccolto altre richieste da clinici, pazienti e cargiver che sono interessati”.
Oltre a queste iniziative, “offriamo supporto psicologico integrato con il clinico che segue il paziente – illustra Rossi – non ci vogliamo sostituire, ma in accoro con loro, offrire servizi a cui altrimenti dovrebbe provvedere il paziente. Abbiamo anche portato avanti il progetto ‘Women in rare’ focalizzato sulle donne che, nel mondo delle malattie rare, hanno un ruolo importante per incidenza maggiore di patologie, ma anche perché la persona che in famiglia segue chi ne è colpito sono donne. Stiamo cercando di identificare gli aspetti cruciali, caratterizzarli per presentarli – conclude – al mondo politico, per cercare di attivare dei cambiamenti alla situazione”.