(Adnkronos) – Nel 2043 la popolazione in età da lavoro, quella tra i 15 e i 64 anni sarà inferiore di 6,9 milioni di persone. Per mitigare almeno parzialmente la diminuzione della popolazione totale e ridurre il calo previsto della popolazione in età attiva, servirebbe aumentare l’attuale saldo migratorio di almeno +150mila persone all’anno. Questo dispiegherebbe effetti positivi sul Pil, sul bilancio pubblico, sul rafforzamento dell’offerta di lavoro a fronte “di moderati cambiamenti della composizione della popolazione: in 20anni la quota attuale di stranieri pari all’8,6%, sul totale dei residenti in Italia, passerebbe a circa l’11-13%. Numeri non dissimili da quelli di altri partner europei: in Germania la quota di stranieri è al 14%, 17,1% in Austria, 11,7% in Spagna, 9% nel Regno Unito, 8,2% in Svezia e il 7,7% in Francia.
E’ la Fondazione Di Vittorio in un report dal titolo ‘L’Italia tra questione demografica, occupazionale e migratoria’, ad entrare così nel dibattito che sta infiammando la politica e l’economia. Un binomio, occupazione-immigrazione, che il premier Meloni ha già decisamente rifiutato volendo piuttosto sciogliere il nodo lavoro attingendo alla riserva del lavoro femminile. Un ragionamento che il rapporto Cgil smonta pezzo a pezzo. “La propaganda sulla cosiddetta invasione non regge dunque di fronte alla realtà”, commenta Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio.
Intanto un quadro generale della situazione: al 1° gennaio scorso la popolazione residente in Italia è diminuita ulteriormente arrivando a 58.850.717: una contrazione di 179 mila persone rispetto al 2022 e di circa -1,5 milioni rispetto al 2014. Un calo che già oggi manifesta evidenti ricadute anche sul mercato del lavoro dove gli over 50 rappresentano ormai il 39% degli occupati. Ma la dinamica demografica recessiva, sul lungo periodo, è confermata dalle stesse previsioni probabilistiche elaborate dall’Istat fino al 2070, si legge ancora nel Report Cgil che ricorda come tra vent’anni, al 2043 le stime dell’istituto centrale di statistica segnalino “una drastica riduzione della popolazione residente di oltre 3 milioni rispetto ad oggi, come risultato di una diminuzione dei più giovani (-903 mila) e delle persone in eta da lavoro (-6,9 milioni) e di un aumento degli anziani (+4,8milioni)”.
Il dato di partenza dunque, “è che il meccanismo che alimenta la crescita della popolazione si è arrestato: il saldo naturale è negativo mentre il saldo migratorio è positivo ma del tutto insufficiente a compensare quello naturale”. E anche le politiche di incentivazione della natalità mostrano limiti:gli interventi per l’aumento delle nascite (al di la delle specifiche misure di politica sociale e fiscale allo studio, dicono gli economisti della Cgil, “dispiegheranno i propri effetti nel medio e nel lungo periodo, i nati di oggi avranno vent’anni nel 2043. Senza contare che una politica di sostengo alla natalità non può “che partire dalla premessa che le politiche che si vogliono incentivare siano in mano in primo luogo alle donne, con le proprie scelte e progetti di vita”.
Dunque, anche ipotizzando un abbassamento dell’ètà media delle madri al parto (32,35 anni nel 2021) e un aumento del tasso di fecondità totale (1,25 nèl 2021), va considerato, osservano ancora in Cgil, “che in ogni caso la popolazione femminile in età fertile (15 -49 anni) tra il 2024 e il 2043 è previsto che cali di quasi 2 milioni (da 11 milioni 481 mila a 9 milioni 518 mila). La stessa Banca Mondiale, ricorda ancora la Fondazione di Vittorio, stima che l’attuale popolazione italiana di bambine fino a 9 anni dovrebbe incrementare il proprio tasso di fecondita del 2,05% rispetto a oggi. E questo solo per ricostituire una generazione ampia come quella dei loro genitori. Quindi, conclude il rapporto Cgil, “una strategia di questo tipo potrebbe essere rafforzata sul piano demografico se la popolazione in età fertile aumentasse, ma questo può avvenire solo con un maggiore contributo dell’immigrazione”.