Presentando un’analisi Cer- Confesercenti(opportunamente denominata ’La Grande Incertezza’), dopo la doccia fredda riservata ieri al governo con i dati che prevedono inflitti dai dati del Centro Studi di Confindustria parla di un Pil in grande affanno (dovrebbe crescere solo dello 0,8% quest’anno, per scendere a +0,7% nel 2017 e salire a +0,9% nel 2018), oggi si bissa evidenziando come la crisi abbia eroso i redditi e messo in ginocchio le imprese. Nello specifico si evidenzia che a dispetto della crescita del reddito disponibile delle famiglie, che si prevede nel triennio 2016-2018 dovrebbe ammontare al 2,3%, lo scarto negativo rispetto ai valori pre-crisi resta comunque di circa 70 miliardi, pari a un calo del 6,2%. Con i prevedibili effetti sulle scelte in materia di consumi e di insicurezza. Una situazione che pesa sull’indebitamento il quale, pur continuando a decrescere per lintero periodo, non rispetterebbe però la tabella dui marcia dei tempi richiesti dalle regole europee. In poche parole, numeri alla mano, cifre, lindebitamento scenderebbe dai 39 miliardi stimati per lanno in corso, ai 21 mld del 2018, con una flessione in quota di Pil dal 2,3 all1,2%, risultato del miglioramento dellavanzo primario (+0,3 punti in percentuale di Pil) e della diminuzione della spesa per interessi (-0,3 punti). Peraltro un’analisi condotta da Ref – Ricerche sempre per Confesercenti, mostra come – sommando i valori facciali di tutte le manovre dal 2007 ad oggi – si ottiene una correzione, tra riduzione delle spese e aumento delle entrate, di ben 130 miliardi di euro, di cui circa la metà provenienti dalle sole maggiori entrate. Complessivamente, infatti, nel periodo esaminato, solo tre manovre su dieci hanno avuto carattere espansivo, con un saldo tra entrate e spese pubbliche a favore di queste ultime. Dunque, senza le manovre adottate il nostro deficit pubblico di contro al simile livello dei tassi dinteresse – sarebbe sopra il 6 per cento del Pil, e questo avrebbe determinato una situazione instabile sotto il profilo finanziario. Ma la stretta fiscale ha però determinato anche un differente impatto sulleconomia reale: in poche parole avrebbe sottratto negli anni scorsi alla crescita italiana circa 6 punti di Pil. Inoltre, spiega ancora il Ref, sebbene nel 2016 siano stati apportati 130 miliardi di euro di correzione, attualmente ci ritroviamo esattamente con lo stesso livello del deficit pubblico del 2008 e con un debito pubblico che è aumentato di oltre 30 punti di Pil. Così come, l’analisi Ref, evidenzia anche il forte impatto dell’aumento delle aliquote Iva agevolate previsto dalle clausole di salvaguardia, con un aumento di 3 punti dellaliquota agevolata oggi al 10%, che passerebbe quindi al 13%, e di 1 punto sullaliquota super-agevolata, passando dal 4 all5%, gli effetti sulla crescita della nostra economia sarebbero significativi. Daltra parte, come sottolinea giustamente lanalisi, il nostro Paese, tra le maggiori economie delleurozona, è quella che raggiunge il livello più elevato di pressione fiscale sui consumi, che ha toccato nelle sue diverse forme un valore dell11,7% del Pil, che si confronta con l11% della Francia, fino al ben più modesto 9,5% osservato in Spagna. Per cui, nel nostro caso le imposte sui consumi, che garantiscono i quasi 6 punti in più di Pil di gettito oltre allIva, sono principalmente le accise (pari a circa il 3% del Pil), a cui si aggiungono i proventi derivanti dai monopoli, ovvero le imposte sui tabacchi e sui giochi, che assommano quasi l1%. Come ha tenuto spiegare il presidente di Confesercenti Massimo Vivoli, inaugurando lannuale meeting dell’associazione, si somma alle “liberalizzazioni che hanno fatto terra bruciata della vitalità commerciale delle nostre città”. Dunque, ha aggiunto il presidente “attendiamo proposte innovative ricordando che la vita media delle imprese si è molto ridotta, nel commercio dopo 3 anni dalla nascita scompare il 40% circa di imprese”. In definitiva, tutto ciò è il risultato di un andamento che ha portato “i consumi al palo mentre la spesa media delle famiglie si è ridotta di 160 euro mensili dal 2007 ad oggi”. Di contro, ha quindi concluso Vivoli sottolineando il forte impasse economico sofferto da milgiaia delle nostre imprese: “i livelli di tassazione locale, in particolare la Tari, che sono aumentati in modo esponenziale e che la quota della Gdo nel largo consumo è ormai del 75%”.