Quella della sindrome “cardio-metabolica” è la definizione che meglio esprime la situazione che coinvolge il 70% delle persone con diabete (2,5 milioni su un totale di 3,8 milioni) per i quali gli eventi cardiovascolari rappresentano la principale causa di morte.
L’occasione per affrontare con gli esperti la situazione italiana e tracciare gli approcci più idonei, nasce dalla Fondazione Italiana per il Cuore per proseguire il percorso internazionale sulla prevenzione di questa combinazione di patologie, promossa dalla World Heart Federation (WHF)(1).
Diabete, la Folco: “La sindrome cardio-metabolica è la causa di un preoccupante aumento di decessi del 70% negli ultimi 10 anni”
“E’ un privilegio e un onore che la Fondazione Italiana per il Cuore rappresenti l’Italia all’interno del network globale di cui la WHF è leader e coordinatore, formato da più di 200 fondazioni cardiache, società scientifiche e organizzazioni di pazienti in più di 100 paesi. Collaboriamo attivamente affinché la salute del cuore diventi una priorità – interviene Emanuela Folco, Presidente della Fondazione Italiana per il Cuore – per ridurre il carico globale di malattie cardiache e ictus che insieme mietono 18,6 milioni di vittime ogni anno. Uno dei focus è la sindrome cardio-metabolica nelle persone con diabete, di cui la metà non ne è purtroppo consapevole, e che è la causa di un preoccupante aumento di decessi del 70% negli ultimi 10 anni”.
“La Roadmap sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari nelle persone affette da diabete sviluppata dalla WHF in collaborazione con l’International Diabetes Federation – proseguono Fernando Lanas, WHF Roadmap Liaison Officer, WHF Science Committee member e Dan Gaita, rappresentante della World Heart Federation – è un documento di riferimento fondamentale per chiunque sia coinvolto nella gestione di queste patologie a partire dalla pianificazione, organizzazione, implementazione, monitoraggio e valutazione degli approcci. Delinea una visione di un percorso di cura ideale, i potenziali ostacoli lungo questo percorso e le soluzioni proposte, con esempi tratti dalla pratica”.
Diabete: ecco la fotografia che preoccupa: la Scorecard con i dati italiani
Tra i dati raccolti nella Scorecard sulle malattie cardiovascolari in Italia(2), emerge che sono circa 3,8 milioni le persone con diabete (di tipo 1 e 2) di cui il 70% è in trattamento con farmaci antiipertensivi e il 60,8% è in trattamento ipolipemizzante. Preoccupa anche la situazione che coinvolge quasi la metà dei pazienti (49%) che non è a target pressorio nonostante il trattamento.
“A ulteriore dimostrazione dell’importanza del rapporto tra diabete e malattie cardiovascolari, c’è il dato allarmante(3) sulla percentuale che oscilla tra il 60% e l’80% delle persone con diabete che muoiono a causa di malattie cardiovascolari. Un ulteriore dato – interviene Paolo Di Bartolo, Presidente Fondazione AMD (Associazione Medici Diabetologi) – è rappresentato dal 20,9% di pazienti con un elevato rischio cardiovascolare, seguito dal 15% che ha già avuto infarto, ictus o complicanze vascolari agli arti inferiori, numeri impressionanti che danno una chiara idea della rilevanza del problema. Su questi dati si inseriscono le informazioni sulla malattia renale che risulta in circa il 40% dei pazienti”.
“Uno screening cardiovascolare accurato nel paziente diabetico, assieme a una stima complessiva del rischio cardiovascolare – continua Massimo Volpe, Presidente SIPREC e Università la Sapienza Roma – costituisce un’azione di fondamentale importanza per poter mettere in atto le misure terapeutiche individuali più appropriate”.
Diabete: l’incidenza dei fattori di rischio di un Paese come il nostro, tra i più longevi
La situazione italiana, dal punto di vista della mortalità prematura e totale sommata all’aspettativa di vita, appare ancora confortante.
“Tuttavia, non lo è per quanto riguarda la prevalenza e il controllo dei principali fattori di rischio cardiovascolare quali, ad esempio, il diabete mellito, l’ipercolesterolemia, l’ipertensione arteriosa, il fumo, la sedentarietà (fattori legati allo stile di vita non salutare rilevabile, purtroppo, anche negli adolescenti). Considerando che stiamo parlando di fattori di rischio modificabili – proseguono Paolo Magni, Coordinatore Comitato Scientifico Fondazione Italiana per il Cuore e Università degli Studi di Milano e Roberto Volpe, Consiglio Nazionale delle Ricerche-CNR e SIPREC (Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare) – tutti noi dobbiamo impegnarci a fondo per far sì che l’Italia continui a essere uno dei paesi più longevi al mondo e che tale longevità sia in buona salute”.
Diabete, l’inerzia e aderenza: due facce della stessa medaglia
“Le recenti linee guida SID-AMD(4) rappresentano un punto importante di svolta nella gestione del diabete e in particolare della cosiddetta “sindrome cardio-metabolica”, dove sono stati chiaramente individuati gli interventi farmacologici (e non solo) per “aggredire” in modo efficace questa problematica. Ci sono due aspetti rilevanti che ancora ostacolano il raggiungimento dei target prefissati. Da un lato “l’inerzia” terapeutica – commenta Angelo Avogaro, Presidente SID (Società Italiana di Diabetologia) e Università di Padova – ossia la resistenza da parte dei clinici ad utilizzare farmaci innovativi, più efficaci e allo stesso tempo più sicuri, che consentirebbero di raggiungere i target prefissati in modo più semplice e sicuro. Dall’altro, la mancanza di “aderenza” da parte dei pazienti con patologie croniche: infatti il 50% dei pazienti interrompe (o modifica) la terapia senza confrontarsi con il proprio medico a pochi mesi dal suo inizio”.
Diabete, l’importanza della diagnosi precoce
I pazienti diabetici hanno un rischio aumentato di sviluppare aterosclerosi e malattia coronarica. La diagnosi precoce della malattia coronarica nel paziente diabetico è quindi fondamentale per la prevenzione e la gestione efficace delle complicanze cardiovascolari.
“L’imaging non invasivo, come la tomografia computerizzata coronarica o la risonanza magnetica cardiaca, può fornire informazioni dettagliate sulla presenza, sulla gravità e sulla localizzazione della malattia coronarica senza ricorrere alle procedure invasive come l’angiografia coronarica. L’imaging può essere utile anche per valutare il rischio di eventi cardiovascolari futuri – conclude Daniele Andreini, Direttore UO Cardiologia Clinica, Imaging e di Cardiologia dello Sport, I.R.C.C.S. Ospedale Galeazzi-Sant’Ambrogio – e per monitorare l’efficacia del trattamento nel tempo, oppure fornire informazioni sulla presenza e sulla gravità della placca aterosclerotica che è associata a un maggiore rischio di eventi cardiovascolari”. |