(Adnkronos) – Per la terza volta il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, torna a promulgare una legge di conversione di un decreto legge accompagnando la sua decisione con una serie di rilievi tecnico-giuridici tali da giustificare un rinvio alle Camere, reso però difficilmente praticabile in generale per la natura del provvedimento e in particolare per i suoi contenuti.
Come già aveva fatto nella precedente legislatura e nel suo primo mandato, l’11 settembre 2020 e il 23 luglio 2021, anche stavolta il Capo dello Stato scrive al presidente del Consiglio e ai presidenti di Senato e Camera, mettendo nero su bianco tutte le problematicità emerse a seguito delle modifiche apportate durante l’iter parlamentare al decreto legge in questione, il cosiddetto Milleproroghe. Questioni di natura generale, che riguardano l’annosa tematica, già sollevata dai predecessori dell’attuale Capo dello Stato, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano, relativa all’abuso della decretazione d’urgenza e degli interventi emendativi di Senato e Camera; e riferite alle norme contenute nel provvedimento.
A finire nel mirino di Mattarella la decisione di prorogare le concessioni balneari al 31 dicembre 2024, che, alla luce delle norme in vigore, delle decisioni del Consiglio di Stato e del diritto dell’Unione europea, rischiano di aprire numerosi contenziosi. “Molteplici profili critici”, scrive Mattarella, tali “da giustificare l’esercizio della facoltà attribuitami dall’articolo 74 della Costituzione”.
“Sono tuttavia consapevole -spiega il Capo dello Stato- della delicatezza, sotto il profilo costituzionale, del rinvio alle Camere esercitato nei confronti di una legge di conversione di un decreto-legge, a pochi giorni dalla sua scadenza: farebbe, inevitabilmente, venir meno, con effetti retroattivi, in molti casi in maniera irreversibile, tutte le numerose altre disposizioni che il decreto-legge contiene, determinando incertezza e disorientamento nelle pubbliche amministrazioni e nei destinatari delle norme”. Il Presidente della Repubblica, inoltre, confida nell'”iniziativa assunta dal Governo rivolta a ricondurre la decretazione d’urgenza entro i limiti costituzionali e a favorire una valutazione più rigorosa degli emendamenti”.
Mattarella, come scrive nella lettera, si riferisce all’intenzione, manifestata dalla premier, Giorgia Meloni, “in dialogo con i presidenti delle Camere”, di “un’inversione di tendenza” rispetto all’abuso della decretazione d’urgenza, “con il recupero di un’adeguata capacità di programmazione legislativa da parte del Governo e di una corrispondente attitudine del Parlamento a consentire l’approvazione in tempi ragionevoli dei disegni di legge ordinaria. Rispetto a questa iniziativa del Governo auspico -esorta Mattarella- piena collaborazione istituzionale e invito tutte le forze politiche a valutarla con senso di responsabilità”.
Nel frattempo e tornando alla questione dei balneari, il Capo dello Stato ritiene tuttavia “indispensabili, a breve, ulteriori iniziative di Governo e Parlamento”, per far fronte ai “profili di incompatibilità con il diritto europeo e con decisioni giurisdizionali definitive” che “accrescono l’incertezza del quadro normativo”. Mattarella insiste però, come già fatto in passato, e richiamando sentenze della Corte costituzionale, sulla necessità che i decreti legge, e in particolare i Milleproroghe, non si trasformino in provvedimenti omnibus “del tutto disomogenei, vale a dire in meri contenitori dei più disparati interventi normativi. Verrebbe in tal modo palesemente violato il requisito dell’omogeneità di contenuto che la Corte costituzionale ha, in più occasioni, ritenuto oggetto di tutela costituzionale”.
Già l’11 settembre del 2020, in piena emergenza Covid, il Capo dello Stato, in sede di promulgazione della legge di conversione del decreto legge Semplificazioni, lamentò l’inserimento nel provvedimento di modifiche al codice della strada che non attenevano alla materia “originariamente disciplinata” dal testo.
Di qui la decisione di procedere “alla promulgazione soprattutto in considerazione della rilevanza del provvedimento nella difficile congiuntura economica e sociale”, unita all’invito al Governo “a vigilare affinché nel corso dell’esame parlamentare dei decreti legge non vengano inserite norme palesemente eterogenee rispetto all’oggetto e alle finalità dei provvedimenti d’urgenza”.
Un auspicio accompagnato dalla considerazione che il Parlamento tenesse conto dell’”esigenza di operare in modo che l’attività emendativa si svolga in piena coerenza con i limiti di contenuto derivanti dal dettato costituzionale”.
Il 23 luglio del 2021, promulgando la legge di conversione del decreto ‘Sostegni bis’, Mattarella rilevò che “il testo che mi è stato trasmesso contiene 393 commi aggiuntivi, rispetto ai 479 originari. Tra le modifiche introdotte ve ne sono alcune che -alla luce del disposto costituzionale e della ricordata giurisprudenza costituzionale- sollevano perplessità in quanto perseguono finalità di sostegno non riconducibili all’esigenza di contrastare l’epidemia e fronteggiare l’emergenza, pur intesa in senso ampio, ovvero appaiono del tutto estranee, per finalità e materia, all’oggetto del provvedimento”.
In quell’occasione il Capo dello Stato, come avvenuto anche oggi, richiamò “l’eventuale ricorso alla facoltà prevista dall’articolo 74 della Costituzione nei confronti di leggi di conversione di decreti-legge caratterizzati da gravi anomalie che mi venissero sottoposte. Anche tenendo conto che il rinvio alle Camere di un disegno di legge di conversione porrebbe in termini del tutto peculiari –alla luce della stessa giurisprudenza della Corte costituzionale– il tema dell’esercizio del potere di reiterazione, come evocato in una lettera del 22 febbraio 2011 del Presidente Napolitano”.
Un intervento che anche il predecessore di Mattarella pose in essere in riferimento al decreto Milleproproghe. L’allora Capo dello Stato già durante l’iter del decreto si era rivolto ai presidenti dei due rami del Parlamento e allo stesso premier, lamentando l'”ampiezza” e l'”eterogeneità delle modifiche fin qui apportate nel corso del procedimento di conversione al testo originario” del provvedimento e “la prassi irrituale con cui si introducono nei decreti legge disposizioni non strettamente attinenti al loro oggetto”.
Quindi, al momento della promulgazione della legge di conversione, Napolitano prese atto che Governo e Parlamento avevano accolto il suo invito “ad espungere dal testo molte delle aggiunte sulle quali erano stati formulati rilievi”, anche se restavano “comunque disposizioni in ordine alle quali potranno essere successivamente adottati gli opportuni correttivi”.
L’allora Presidente della Repubblica soprattutto prendeva atto “dell’impegno assunto dal Governo e dai presidenti dei Gruppi parlamentari di attenersi d’ora in avanti al criterio di una sostanziale inemendabilità dei decreti legge. Si tratta -sottolineava l’inquilino del Quirinale- di una affermazione di grande rilevanza istituzionale che vale -insieme alla sentenza n. 360 del 1996 con la quale la Corte costituzionale pose fine alla reiterazione dei decreti legge non convertiti nei termini tassativamente previsti- a ricondurre la decretazione d’urgenza nell’ambito proprio di una fonte normativa straordinaria ed eccezionale, nel rispetto dell’equilibrio tra i poteri e delle competenze del Parlamento, organo titolare in via ordinaria della funzione legislativa, da esercitare nei modi e nei tempi stabiliti dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari”.
Da allora sono esattamente passati dodici anni; si sono succeduti nove Governi e otto presidenti del Consiglio; sono cambiate maggioranze ed opposizioni parlamentari; sono arrivate in Parlamento forze politiche che allora non erano presenti; ma le questioni sollevate dai Capi dello Stato restano irrisolte. (di Sergio Amici)