(Adnkronos) – La notte del terremoto ha attraversato a piedi, sotto la neve, tutta la città di Kilis, al confine tra la Turchia e la Siria, località nota per avere più rifugiati siriani che cittadini turchi. Ed è arrivata fino alla casa tradizionale araba che ospita ‘Amal’, il centro da lei fondato nel 2014 nel sud della Turchia a sostegno dell’educazione e dell’empowerment. Così Isabella Chiari, docente di Linguistica all’Università la Sapienza di Roma, racconta ad Adnkronos di aver vissuto ”con meno paura, rispetto alla popolazione locale”, gli attimi del terribile terremoto che ha scosso il sud della Turchia e il nord della Siria. ”I miei vicini mi hanno detto di aver avuto più paura del terremoto che dei missili”, mentre ”ero piccola quando c’è stato il terremoto del Friuli e sono stata educata a rispondere” all’emergenza. Che l’ha colta nella sua casa ”al quarto piano, si sono rotte le finestre, i bicchieri. Ho preso i miei beni essenziali e mi sono diretta verso il centro che ospita Amal e che è il posto più sicuro e più facile per mettersi in salvo perché è una casa araba tradizionale bassa con stanze che danno verso l’esterno. Basta tenere la porta semi aperta e si può uscire tutti nel cortile in un nanosecondo”. Situazione che, dalla prima scossa, si è verificata ”ogni ora, ora e mezza. Tutti nel cortile”.
Tra loro ”lo staff del centro, gli insegnanti, le loro famiglie”, ma anche ”due tirocinanti italiane venute qui con l’Erasmus”. Si tratta di ”una ragazza di Milano e una che frequenta la Sapienza di Roma, studiano relazioni internazionali. Volevano restare qui, ma le ho mandate ad Ankara per una settimana o due, vediamo come evolve la situazione”. Al momento, a Kilis ”sono crollati 49 edifici, tra cui moltissime mosche e minareti”, tanto che ”molti dormono in strada, nei cortili”. A vivere le condizioni peggiori sono ”i cittadini siriani” che rappresentano la popolazione ”più fragile” ed è per questo che ”stiamo privilegiando loro nella distribuzione degli aiuti”. Inoltre, ci dice la docente, ”ultimamente la convivenza non è pacifica, c’è una maggiore conflittualità” tra turchi e siriani e questo è uno dei motivi per cui i siriani ”non si sono recati nei rifugi. Quelli che ho visitato sono abitati tutti da turchi”. Poi c’è la questione che ”le famiglie siriane sono molto numerose, molto più di quelle turche, e non viene accettata la separazione tra maschi e femmine come avviene nei rifugi”. C’è poi il problema della lingua e della ”assenza di una corretta informazione” perché ”nonostante molti vivano qui ormai da dieci anni non hanno imparato il turco” e per questo ”non hanno accesso ai canali di informazione ufficiali o ai tg. Ascoltano i notiziari siriani” e a loro le notizie arrivano ”per lo più con il passaparola”.
In attesa di verificare se ci saranno ulteriori scosse di assestamento, Chiari ha spiegato di aver aperto le porte della sua scuola, dove ”ora ci sono 50 persone, ognuna in una stanza, e stiamo valutando se accoglierne altre nell’unica grande sala della palestra”. Ma ora ”stiamo organizzando la consegna dei pasti. Oggi non si trova pane e provvedere ai generi alimentari è la priorità. Poi stiamo cercando chi fornisca ospitalità e coperte”, mentre le autorità locali hanno messo a disposizione per l’accoglienza ”scuole, container, università”. Chiari spiega infine che la ‘sua’ Amal ha anche una sede a Gaziantep. ”Siamo presenti in una zona popolare, qui c’è molto bisogno e stiamo valutando la risposta da dare. Il nostro centro a Gaziantep non è strutturato in modo da poter ospitare, ma dobbiamo fare qualcosa per aiutare le persone che sono fuori casa, che accendono fuochi, dormono in auto se ce l’hanno. I siriani non hanno nemmeno quella e le case dove vivevano erano sicuramente le più precarie”, conclude. (
di Melissa Bertolotti)