(Adnkronos) – “In realtà, penso che il posto delle sigarette sia in un museo. Potremmo metterle in mostra e raccontare che nel 20esimo secolo il prodotto era questo, cosa è andato storto, qual è stata la grande scoperta, quale il supporto tecnologico” che ha portato un cambiamento, e tra qualche anno “potremmo dimenticare completamente il fumo”. E’ lo scenario prospettato come possibile in una decina d’anni, almeno in alcuni Paesi e se si verificano precise condizioni, dal Ceo di Philip Morris International, Jacek Olczak, in occasione della quinta edizione di ‘Technovation’, un evento promosso dall’azienda nel suo centro di ricerca e sviluppo ‘The Cube’, a Neuchatel in Svizzera, per un confronto sul ruolo che l’innovazione, la tecnologia e la ricerca scientifica possono svolgere nell’approccio della riduzione del danno a cui lavora Pmi.
“La storia della civiltà dimostra che un prodotto che fa un lavoro migliore, specialmente dal punto di vista del potenziale di riduzione del danno, può e dovrebbe sostituire il prodotto precedente, con il supporto dei regolatori” e di tutti gli attori coinvolti. E, se c’è questo supporto, “10 anni” o poco più sono un arco temporale credibile per realizzarlo, a detta di Olczak. Più “velocemente” un processo del genere avviene, meglio è, ha osservato il Ceo, che fa l’esempio dell’amianto che veniva utilizzato nell’industria delle costruzioni o in quella automobilistica e per molte altre applicazioni. Dopo la scoperta della sua cancerogenicità, si è studiato come sostituirlo con materiali alternativi, ha ricordato.
A citare precedenti e casi paralleli – in cui l’innovazione ha richiesto tempo per farsi strada e ci è riuscita o ci sta riuscendo – è anche Tommaso Di Giovanni, Vice President International Communications di Pmi: cinture di sicurezza (ci sono voluti “13 anni” da quando l’ingegnere della Volvo, Nils Bohlin, ha avuto l’idea delle cinture di sicurezza a tre punti di ancoraggio a quando il primo Paese le ha rese obbligatorie), e ancora creme solari, auto elettriche, e così via. “Quando le sigarette saranno rimpiazzate in generale dai prodotti senza fumo è difficile dirlo – ha spiegato Di Giovanni a margine dell’evento – perché non dipende solo da noi. La tempistica dipende molto dal ruolo che giocano i governi, le organizzazioni, la professione medica. Tutti hanno un ruolo. E questo dialogo sociale può accelerare o rallentare” il percorso.
Gli obiettivi di Philip Morris, dichiarati dai dirigenti intervenuti all’incontro di Losanna, sono: “Entro il 2025 avere più di 40 milioni di fumatori che passano a prodotti senza combustione (oggi si contano 20 milioni di utilizzatori di Iqos, escludendo Russia e Ucraina), portare dal 30 al 50% i ricavi netti che provengono da questi prodotti alternativi e raggiungere 100 mercati (oggi sono 70)”. Olczak ha riservato un accenno ai Paesi in via di sviluppo. Se l’Organizzazione mondiale della sanità stima che entro il 2025 ci saranno ancora un miliardo di fumatori a livello globale, “è vero che tra loro ci sono fumatori che vivono nei Paesi a basso e medio reddito e dobbiamo rendere accessibili le innovazioni anche a loro”.
A che punto è il percorso verso un mondo senza fumo? “In alcuni Paesi l’adozione dei prodotti ‘smoke free’ è già molto elevata – ha assicurato Di Giovanni – per esempio nel Regno Unito già un terzo dei fumatori li ha adottati, perlopiù sigarette elettroniche. In Giappone la stessa percentuale, ma prodotti a tabacco riscaldato. In Lituania a Vilnius il 41% dei fumatori sono già passati a Iqos. Se tutti coloro che hanno un ruolo fanno la loro parte, organizzazioni comprese, se le leggi vengono migliorate e se gli enti di salute pubblica aiutano a dare un messaggio chiaro ai fumatori, in questi Paesi, e mi auguro che l’Italia sia fra loro, fra 10 o 15 anni potremo ricordarci delle sigarette come una cosa del passato. In una delle nostre campagne diciamo: se non fumi non iniziare, perché il fumo provoca malattie e crea dipendenza, è un dato di fatto. Se fumi dovresti smettere, perché rimane la cosa migliore che puoi fare per la tua salute. Ma se non smetti, e sappiamo che la stragrande maggioranza delle persone semplicemente non lo fa, allora cambia. Perché oggi c’è una gamma di alternative che la scienza emergente ti dice essere migliori”.
“Noi abbiamo investito in questo. Sono stati riuniti – ha raccontato Gizelle Baker, Vice President Scientific Engagement di Pmi – 980 scienziati con la missione di arrivare a ridurre i danni associati al fumo. E sono stati investiti oltre 9 miliardi di dollari dal 2008 nella ricerca e sviluppo di prodotto, e nella convalida scientifica”, attività quest’ultima che ha incluso per esempio il raffronto fra il fumo di sigaretta e l’aerosol di prodotti del tabacco riscaldato per “misurare la riduzione di sostanze tossiche. Riduzione che” per alcune di queste sostanze “si osserva in modo sostanziale”, ha affermato l’esperta. “Come affrontiamo lo scetticismo? C’è solo un modo: condivisione aperta dei dati – ha aggiunto – Noi abbiamo oltre 425 pubblicazioni”. E ci sono, dice Baker, anche “più di 50 studi indipendenti”.
I dati che si sono accumulati negli anni raccontano per esempio il caso Giappone. Tre gli studi chiamati in causa dagli esperti. Uno, pubblicato su ‘Tobacco Control’ di ‘Bmj’, in cui autori Usa del settore Economic and Health Policy Research dell’American Cancer Society analizzano i dati mensili del panel di rivenditori giapponesi dal 2014 al 2018 e rilevano una diminuzione delle vendite di sigarette in ognuna delle 11 regioni dal momento dell’introduzione di Iqos, concludendo che probabilmente c’è stato un impatto da parte di questi prodotti, pur precisando di non poter valutare l’impatto netto sulla salute della popolazione. Nello stesso solco un lavoro condotto da ricercatori di Usa e Canada utilizza dati del Tobacco Institute of Japan e di Philip Morris International e parla di un calo accelerato delle vendite di sole sigarette in Giappone dal 2016, in corrispondenza della crescita dei prodotti a tabacco riscaldato.
Un altro studio pubblicato quest’anno su ‘Frontiers in Public Health’, finanziato da Pmi e condotto utilizzando dati del mondo reale, cioè del database delle richieste di risarcimento assicurativo del Japan Medical Data Center (Jmdc), ha indagato invece su un potenziale impatto su malattie da fumo. Gli autori hanno osservato una riduzione statisticamente significativa dei tassi di ospedalizzazione per broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco) e cardiopatia ischemica (Ihd) dopo l’introduzione dei prodotti del tabacco riscaldato e invitano a ulteriori studi in questa direzione.
Baker ha anche fotografato l’evoluzione della prevalenza del fumo dal 2013 al 2019 in Giappone e in altri tre Paesi: Australia, Inghilterra, Nuova Zelanda. “Il Giappone” che partiva dalla prevalenza più alta “ha prima eguagliato l’Australia, che è tra le realtà più severe al mondo” sul fumo. Poi “è diventato il Paese con la più bassa prevalenza di fumo di sigaretta di tutti e quattro”, 13% contro 14%, secondo i dati mostrati da Baker, e una riduzione superiore agli altri Paesi, pari a 6,2 punti percentuali. “Questo inizia a mostrare che l’accettazione della riduzione del danno può cambiare la traiettoria della prevalenza del fumo a livello di popolazione, a nostro avviso”.