(Adnkronos) – Una lettera aperta indirizzata al neo Presidente del Senato, Ignazio La Russa da Annarita Lo Mastro, la madre del parà David Tobini, il parà della Folgore morto ad appena 28 anni il 25 luglio del 2011, a Bala Mourghab, in Afghanistan, per chiedere una “presa di coscienza su quanto accadde” quel giorno in cui morì il giovane. E per denunciare “quanto l’inganno e la beffa sulla dignità fecero da padrone”. Ecco cosa scrive Annarita Lo Mastro, che non si è mai fermata per cercare la verità sulla morte del figlio: “Salve ex Ministro della Difesa, oggi Presidente del Senato. La rivedo seduto su una di quelle poltrone del “potere”, proprio come quando la conobbi. Una data e un nome: 2011. 25 luglio. David Tobini. Il caporal Maggiore Scelto dell’Esercito caduto in Afghanistan a 28 anni. Lei che ricorda i Caduti non può essersi dimenticato di questo caso. Sono la madre che ancora oggi Le scrive – si legge nella lettera aperta scritta da Annarita Lo Mastro- Ci conoscemmo, ricorda? Si chiederà oggi parchè una lettera aperta. Semplicemente perché, man mano che mi avvicinavo alla verità sulla morte di mio figlio, non ebbi da lei nessuna risposta, nelle varie e-mail inviatele, dopo che fu lei stesso a darmi l’indirizzo”. “Scrivo ancora a Lei, perché le responsabilità di un uomo, in quel caso ministro, non vanno in prescrizione – si legge ancora nella lettera aperta- Mi catalogò davanti ad altre persone durante la presentazione del libro, del padre di Luca Sanna come ‘pericolosa’. ‘Pericolosa’ perché? Pericolosa, probabilmente era inteso come scomoda? Ci conoscemmo subito dopo la morte di mio figlio, entrando nel suo ministero con un paio di jeans, non ho mai badato alle apparenze”.
E ancora: “Mi ricevette in quell’ occasione, ero frastornata e non pronta alle risposte, in certe sue dichiarazioni. ‘Signora pensava che andassero a fare una partita a calcetto?’. Oggi sono pronta e le dico: «Sì, furono spediti in una operazione di una massima pericolosità, con l’organizzazione e la stanchezza di chi andava a fare una gita da boy scout’. È tutto agli atti. Lei che si rifiutò nel tempo di degnarmi di una risposta, oggi che siede di nuovo in una poltrona di prestigio, ricorda i caduti dell’ Afghanistan? Ancora usati per i vostri tornaconto?”. “Deve sapere presidente, che la morte dei nostri figli, non ci ha rimbambite, come vi piacerebbe credere, bensì rafforzate”.
Poi Annarita Lo Mastro aggiunge: “Siamo pronte, considerato anche che lei è anche un avvocato, a sbattere sulla sua scrivania lussuosa, i nostri fascicoli. Ma probabilmente non ne avrà bisogno. Immagino che un ministro debba essere al corrente di ciò che accade e, soprattutto, di ciò che accadde. A Destra, sinistra, centro, chiediamo di non permutare quei nomi, di cui tornano alla vostra memoria solo in circostanze di comodo”. “Mi aspetto da Lei una presa di coscienza su quanto accadde e su quanto l’inganno e la beffa sulla dignità fecero da padrone”, dice.
“Oggi, Lei ha delle nuove responsabilità, di cui mi auguro che non siano affrontate come affrontò, circa la morte di mio figlio. Oggi, però, mi sento anche di dirle che, le partite a calcetto le avete giocate voi. Con le teste dei nostri figli. Buon lavoro, Annarita Lo Mastro”. E poi, aggiunge un post scriptum: “Sono quella madre che non le permise di toccare il figlio prima di me, sbarcando da quel C130. Prima dei ridicoli atti plateali, circostanziali, mi avvalsi di abbracciare io mio figlio indossando il basco amaranto da paracadutista, prima di ogni falsità attirata dai riflettori”.
La morte del caporalmaggiore David Tobini, il parà della Folgore morto nella parte più impervia dell’Afghanistan, resta senza colpevoli. Anche se adesso c’è un primo punto fermo. Anzi, più di un punto fermo. A metterlo è la Gip del Tribunale di Roma, Roberta Conforti, che nell’ultimo provvedimento dello scorso agosto parla di “contraddizioni”. Ma anche di “dichiarazioni smentite” di un commilitone. E, per la prima volta, spiega che il soldato che, al momento dell’uccisione di David Tobini si trovava nelle vicinanza, potrebbe non avere detto la verità. Ma nonostante ciò, il commilitone di David, non verrà iscritto nel registro degli indagati. La giudice per le indagini preliminari sottolinea che “non può non osservarsi come anche laddove le indagini dovessero confermare che l’ipotesi che abbia reso false dichiarazioni al pm, non potrebbe essere elevata nei suoi confronti la contestazione” delle false dichiarazioni al pm “sussistendo la causa di non punibilità prevista dall’articolo 384 cp e, più in generale, non essendo esigibile, in ossequio al fondamentale principio secondo cui ‘Nemo tenetur se detegere’ (“Nessuno può essere obbligato a fare dichiarazioni contrarie al proprio interesse” ndr), che un soggetto renda dichiarazioni dalle quali emergano a proprio carico elementi di reità, e non potendo pertanto essere penalmente sanzionato chi non rende tali dichiarazioni”.
Una vicenda piena di silenzi, lettere sparite nel nulla, perizie contrastanti. Una verità che a distanza di undici anni resta ancora da scrivere, anche se ora si ha qualche elemento in più. “Dopo 11 lunghi anni in cui si è nascosta la verità sono autorizzata a non credere che David sia morto per una pura fatalità. Nessuno mai ha indagato a fondo ed ora è giunto il momento che lo si faccia per rispetto a David”, ha spiegato ad agosto la madre di David. “Ho sempre pensato al doloso, oggi più che mai – prosegue la madre di David -Andremo avanti. Un modo lo troveremo, non puo’ ritenersi “ammissibile” che anni di depistaggi su quanto accaduto quel 25 luglio del 2011 abbiano offeso tradito ingannato ed infangato la memoria di mio figlio. Aggiungerei, tradendolo in ogni principio di onestà e rettitudine”. E conclude: “Una “condanna morale” sottile, come è scritta in questa ordinanza non potrà mai rendere libero un ‘uomo’”. (di Elvira Terranova)