(Adnkronos) – “Quel venerdì pomeriggio, 17 luglio 1992, dopo avere finito l’interrogatorio con il collaboratore Gaspare Mutolo, ci salutammo affettuosamente con una forte stretta di mano e il giudice Borsellino mi disse: ‘Ci vediamo la prossima settimana. Forse andrò un giorno in Germania a sentire due mafiosi’. Quella fu l’ultima volta che lo vidi. Appena 48 ore dopo sentii la terribile notizia della strage di Via D’Amelio e mi si gelò il sangue”. Sono trascorsi esattamente 30 anni da quel giorno ma Pippo Giordano, ex poliziotto della Dia, ancora si commuove. Paolo Borsellino fece il suo ultimo interrogatorio, a Roma, proprio con lui, in un appartamento in uso alla Dia. Per sentire, con il pm Gioacchino Natoli, il pentito di mafia Gaspare Mutolo, che ha raccontato alcuni retroscena sui boss di Cosa nostra ma anche su politici e poliziotti. Giordano ha affidato il racconto di quegli ultimi giorni di vita di Paolo Borsellino in una intervista all’Adnkronos. “Nel luglio del 1992 io prestavo servizio alla Direzione investigativa antimafia di Roma – racconta – era il periodo in cui c’era pure Gianni De Gennaro”.
“Qualche settimana prima del primo luglio mi venne affidato Gaspare Mutolo – racconta -e io, per una questione di sicurezza, decisi di nasconderlo in un appartamento romano aspettando l’arrivo del giudice Paolo Borsellino. Il dottor Borsellino arrivò in ritardo perché c’era stato un problema con il Procuratore Pietro Giammanco, che non voleva che si occupasse del collaboratore. Quindi, io aspettavo di giorno in giorno, che mi arrivasse l’input per iniziare gli interrogatori con Borsellino. Finalmente il primo interrogatorio si fece. Era il primo luglio 1992. E lo facemmo in un appartamento riservato lì nei dintorni, vicino al centro operativo Dia di Roma. La prima volta incontrai Borsellino in quell’appartamento, anche se io lo conoscevo già perché avevo lavorato in passato con il poliziotto Ninni Cassarà, che poi venne ucciso dalla mafia, come tanti altri poliziotti”.
“Per me fu un immenso piacere rivederlo – ricorda ancora Pippo Giordano – anche se il clima era molto teso e triste perché appena 55 giorni prima c’era stata la strage di Capaci. Infatti ci salutammo con un abbraccio, entrambi tristissimi”. “Con lui venne anche Vittorio Aliquò, l’allora Procuratore aggiunto di Palermo, che io non conoscevo – ricorda ancora Giordano – quel pomeriggio poi io mi assentai, perché dovevo tornare alla Dia per fare delle relazioni, anche su quello che Mutolo confidenzialmente mi aveva accennato nei giorni precedenti. Lavorando a Palermo negli anni Ottanta quando passammo momenti terribili per gli omicidi di poliziotti amici, avevo tante domande da fare al collaboratore. Omicidi ancora irrisolti, perché non riuscivamo a capire alcune cose, anche se su alcuni sapevamo anche il movente. E Mutolo in quei giorni mi illuminò e mi raccontò alcune cose in particolare”.
“Quel primo luglio andai alla Dia e poi tornai nel pomeriggio, quando stavano per finire il primo interrogatorio, ma non entrai perché non volevo disturbare”. Il primo luglio 1992 era il giorno in cui Borsellino si recò con Aliquò dall’allora neo ministro Nicola Mancino al Viminale per il suo insediamento. Una circostanza che Mancino non ha ricordato per molto tempo. Poi passarono due settimane e il 16 e il 17 luglio Borsellino tornò a Roma per riascoltare ancora Mutolo. “E lì rimasi per tutto il tempo a seguire l’interrogatorio del collaboratore”, racconta oggi Giordano all’Adnkronos.
A questo punto, Giordano ricorda un aneddoto che accadde il 17 luglio, cioè l’ultimo giorno di Borsellino con Mutolo, perché due giorni dopo venne ucciso in via D’Amelio. “Ricordo che a un certo punto intervenne il pm Natoli che chiese a Mutolo se fosse a conoscenza di personaggi collusi con le istituzioni. Si riferiva ad eventuali politici o poliziotti o carabinieri. E Mutolo tirò fuori per la prima volta i nomi di Bruno Contrada e poi del giudice Domenico Signorino”, quest’ultimo poi si suicidò quando il suo nome venne tirato in ballo da alcuni collaboratori di giustizia. “Borsellino si arrabbiò moltissimo – ricorda Giordano – Disse a Mutolo di tacere. Era preoccupato. Ma anche nervoso, tanto che accese una sigaretta mentre l’altra era ancora nel posacenere”. “Borsellino non riteneva ancora che fosse il momento di parlare delle collusioni politiche – racconta Giordano – Riteneva opportuno seguire un suo metodo. Prima voleva sapere dell’organigramma di Cosa nostra, poi degli omicidi e infine delle eventuali collusioni con polizia e carabinieri e i politici,. Questo era il progetto di Paolo Borsellino. Quindi si infuriò quando Natoli gli fece quella domanda”.
“Io da sotto il tavolo diedi un calcio negli stinchi a Mutolo e gli feci capire che non era quello il momento di parlare di questo argomento – dice ancora Giordano – Ne avrebbe dovuto parlare solo alla fine. Borsellino ripetè: ‘Non è i momento di fare questi nomi’. A quel punto proseguimmo con l’interrogatorio e finimmo nel pomeriggio. Ci salutammo con una stretta di mano. E lui mi disse: ‘Ci vediamo lunedì, al massimo martedì perché forse devo andare in Germania a sentire dei mafiosi’. La domenica venne ucciso. E io il lunedì mattina ero nuovamente al centro operativo di Roma, dove ho incontrato Mutolo”.
Pippo Giordano nella sua carriera alla Dia ha sentito diversi collaboratori di giustizia. “Io a Beppe Montana”, ricorda parlando del poliziotto ucciso dalla mafia, “abbiamo portato in giro Totuccio Contorno su un mezzo, non si sapeva ancora che stesse collaborando. Lo disse solo dopo che Tommaso Buscetta collaborò con la giustizia”, dice. “Noi lo nascondevamo”. E ricorda di quella volta in cui a Mondello li volevano uccidere. “Fecero un atto intimidatorio, ci fecero trovare una sagoma di un uomo con dei fori tipici di proiettili di colore rosso, rosso com e il sangue. A quel punto trasferimmo Contorno negli uffici della Mobile. Allestirono una stanza, ricordo che era il 1982 o 1983”.
Sono diversi i pentiti ascoltati da Giordano: da Tommaso Buscetta, Francesco Marino Mannoia, Totuccio Contorno, Giuseppe Marchese, Gaspare Mutolo, Gino La Barbera, Santino Di Matteo, Giovanni Drago e sino a Stefano Calzetta. Giordano lavorò a lungo con Giovanni Falcone, “negli interrogatori di Totuccio Contorno” e poi proseguì sino a metà degli anni 90 con tutti i magistrati della DDA di Palermo.
Pippo Giordano parla poi del falso collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino. “Chi quello? Non è mai stato un uomo d’onore”. “E un pupo che hanno vestito”. E sulla sentenza sul depistaggio sulla strage di via D’Amelio spiega: “Io preferisco non commentare le sentenza, non la giudico mai una sentenza, potrebbe dispiacermi, o farmi provare un momento di gioia ma rimango equidistante dai processi”. Ma poi aggiunge: “Senza dubbio il depistaggio c’è stato”.
Giordano gira da anni per le scuole, incontra studenti, per raccontare la sua esperienza di Falcone e Borsellino. Domani è stato invitato, per il trentennale della strage di via D’Amelio, dai comuni di San Valentino, Roccamorici e Abbateggio, in Abruzzo. La manifestazione pubblica inizierà alle 21 nella piazza di San Valentino. (di Elvira Terranova)