La narrazione del successo (anzi, il trionfo) della Roma nella finale di Tirana della prima edizione della Conference League contro il Feyenoord ottenuta grazie alla rete di Nicolò Zaniolo nel primo tempo non è, o almeno non solo, costellata dalla scintillante, inevitabile e, indubbiamente meravigliosa carica enfatica delle metafore imperiali di un’eternità che i capitolini meritano già solo in quanto detentori di un nome e di un storia millenaria che nulla potrà scalfire.
Friedkin, Roma: le ragioni di un profondo rinnovamento
E’, soprattutto – su un piano squisitamente calcistico e finanziario e di passionalità popolare, perché in fin dei conti di questo si tratta – il frutto di un lavoro e una programmazione mirata, mirabile, lungimirante. Creata da menti illuminate: e in primis, da una consapevolezza. Quella per cui prima di parlare, occorre fare i fatti. Altrimenti non fai impresa: ma filosofia, giornalismo, poesia.
E allora, parliamo di fatti. Quelli che hanno messo su i proprietari, i Friedkin, a partire dal giorno in cui, in piena crisi pandemica, hanno deciso comunque di comprare la Roma da Pallotta. Chi glielo ha fatto fare? Perché? E una volta che l’hanno fatto, però, perché sono rimasti zitti? Insomma, come mai questi texani non parlano? Cosa avranno da nascondere? Possibile che non abbiano proprio nulla da dire?
Avanti, si sa: il calcio è volano di popolarità. Chiunque, chi più chi meno, lo usa per rientrarci, se non finanziariamente, in termini di fama o prestigio o notorietà. Non i Friedkin. Noi non sappiamo neppure che voce abbiano i Friedkin. Qualcuno sospettava che fossero dei cartonati, i Friedkin. Che dietro il faccione sorridente di Dan, il capostipite, ci fosse in realtà ancora Pallotta.
Friedkin-Roma: le tappe del cammino fino alla Coppa
Niente di tutto questo: sono persone vere. Persone che hanno messo faccia, soldi e presenza (tanta presenza) fisica a Trigoria, a Roma, nella Roma. Tutto, tranne le parole. Qualche mese di rodaggio, perfino una semifinale di Europa League vissuta a metà del guado tra vecchio e nuovo progetto, con un allenatore e uno staff non scelto da loro. Poi, arriva Maggio 2021. Il 4 Maggio 2021. Una sorta di nuovo ‘natale di Roma’.
E’ iniziata l’Era Mourinho. Un mercato da ‘inseguimento’, come lo definì lo stesso Special One, a fronte di stravolgimenti di operazioni di entrata/uscita impreviste (Dzeko), infortuni gravissimi (Spinazzola) e i forti ‘no’ di tanti players in odore di addio, ma fermi nel puntare i piedi. Ciò nonostante sono arrivati protagonisti assoluti come Abraham, Rui Patricio, lo stesso Oliveira a Gennaio: nel mezzo, riconferme e rinascite (Mkhitaryan, dagli attriti di Manchester con Mou al nuovo ruolo di jolly imprescindibile in mediana), rilanci quasi insperati (Cristante) o vere e proprie resurrezioni sportive (Smalling, dopo un anno di continui infortuni, è tornato in forma, sano, e fondamentale in difesa). Se tutto questo, assieme al lancio dei tanti giovani, attiene alla sfera tecnica e alle abilità di Mourinho, molto di più nascosto, ma non meno fondamentale, è stato fatto in società.
Il ritorno del logo, dello stemma amato dalla tifoseria. Una campagna di (nuovo) riavvicinamento della tifoseria alla squadra, con promozioni, iniziative, e gesti di estrema eloquenza e sensibilità (i biglietti per la finale, gratis, per gli eroici tifosi che seguirono la Roma nella trasferta di Bodo, nel nord della Norvegia, subendo l’onta del 6-1). Non solo: un modo diverso di fare comunicazione, pur senza parlare, con un comparto media rimodulato secondo le nuove realtà tecnologiche fondate su smartphone e dirette ad hoc.
La Roma dei Friedkin: tifosi, tradizioni, delisting, stadio
E ancora, un progressivo, garbato, riavvicinamento a Totti, come a De Rossi, e al senso di ‘bandiera’ dentro cui rientrano pure scelte strategiche legate a eventi e decisioni pensate per sostenere i sostenitori della Roma, vero humus su cui si fonda, in fondo, il calcio. Ma, certo, niente sarebbe stato così rilevante e apprezzato senza un titulo. E mentre il titolo, quello in Borsa, veniva avviato verso l’importante deslisting, e mentre il progetto Stadio ripartiva, e mentre l’immagine internazionale della Roma si rafforzava, ecco arrivare la Conference League. Una vittoria che non nasce, come tutte le vittorie, del resto, solo dal caso o dal pur fondamentale aspetto tecnico-tattico di campo.
Ma, appunto, dalla preparazione che c’è dietro. Dalla pianificazione. Dalle idee progettuali portate poi a compimento. Poi, si sa, ogni progetto può fallire o trionfare: spesso è un dettaglio, un ciuffo d’erba, un gol in fuorigioco a far la differenza. In genere, però, come si afferma in un gergo popolare sempre valido ‘se non oggi, domani’. Se semini, e semini bene, prima o poi raccogli. Evidentemente, in Texas, c’era del buon grano.