Altro che maionese impazzita. La sinistra italiana in questi giorni sembra aver perso completamente la bussola e anche chi, come l’inquilino del Quirinale, ne ha viste di tutti i colori, è ormai sull’orlo di una crisi di nervi. Il virus che sta scatenando una febbre così alta, nella base come ai vertici dell’ex partito dei lavoratori, è nientemeno che la proposta di abolire o “superare”, come direbbe un bel democristianone d’altri tempi, l’articolo 18 dello statuto dei lavoratori.
Nelle ex sezioni PCI-PDS-DS, oggi circoli PD, dove ancora campeggia il ritratto del compagno Berlinguer col suo sorriso mesto ed enigmatico, è cresciuto a dismisura il consumo di antidepressivi, mentre nelle Camere del Lavoro, nelle sedi della CGIL, della Lega delle Cooperative e dell’ARCI, nelle bocciofile e nei Centri Anziani si alza la voce e volano parole grosse fra i pochi pro e i tanti contrari alla riforma.
Insomma fischia il vento e urla la bufera nelle roccheforti dell’ultimo dei partiti di massa…..”eppur bisogna andar” ripete convinto il rottamatore Matto Renzi, non ancora stanco di rottamare, anzi….
Sa bene che nella partita che sta giocando non c’è pareggio: o si vince o si perde tutto il piatto. Il piatto è quello della leadership assoluta della politica italiana per molti anni a venire e la partita è quella di adeguare le norme sul lavoro alle regole del mercato.
Occorre farlo, precisa Renzi, non perchè ce lo chiede l’Europa, ma perchè è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per creare nuova occupazione. Ma per farlo, lo sa bene il Premier, va smantellata una vecchia idea del mondo del lavoro e della produzione, che vedeva gli occupati fortemente garantiti, anche perchè militarmente sindacalizzati, e i disoccupati sostanzialmente abbandonati al loro destino. Il campo di battaglia di quello che si annuncia lo scontro decisivo, sarà ancora una volta il parlamento, dove il segretario del PD è relativamente debole e i suoi avversari interni relativamente forti.
Lo stallo sull’elezione di Luciano Violante alla Corte Costituzionale ne è la dimostrazione lampante. Il fischio d’inizio della partita della vita è fissato per martedì prossimo al Senato e il testo del job act arriva in aula con un primo via libera della commissione. Va detto però che il terreno di gioco non nè certo favorevole a chi, solo qualche mese fa , non ha esitato a chiedere proprio ai senatori di autoeliminarsi. Dunque un passaggio parlamentare che ha tutto il sapore della resa dei conti.
Renzi sa bene che questa è la madre di tutte le battaglie e che la riforma del lavoro è il perno del nuovo corso, chiesto dall’Europa e dai mercati. In un primo momento tenterà di far passare le nuove norme in maniera soft. Se però l’ostruzionismo dei cinquestelle e di SEL lo costringerà ad adottare un decreto legge, non si potranno escludere colpi di scena. In un clima surriscaldato da scioperi e manifestazioni, i casi di coscienza all’interno del PD si moltiplicherebbero e anche un’eventuale voto di fiducia potrebbe rappresentare un rischio serio per il Governo.
Dietro le quinte qualcuno potrebbe pensare di approfittare dell’occasione per mandare a casa Renzi, mettendolo in difficoltà su un tema sensibile come l’articolo 18, peri andare al voto in primavera col consultellum. In questo modo il Senato sarebbe salvo, insieme alla disponibilità di 315 comodi scranni ancora molto ambiti, la minoranza del PD potrebbe impedire a Renzi di indicare a suo piacimento i candidati da inserire nelle liste bloccate e i partiti più piccoli, grazie al sistema proporzionale puro, non dovrebbero sottostare al ricatto della soglia di sbarramento per entrare in parlamento.
Tutto questo naturalmente fa crescere il peso politico di Berlusconi, a patto però che l’ex premier sappia tenere uniti i suoi senatori, garantendo semmai, sottobanco, che comunque la riforma del senato non taglierà mai il traguardo finale e che i suoi fedelissimi potranno indossare il laticlavio ancora a lungo, anche se con una piccola riduzione di prebende e privilegi..