(Adnkronos) – “Avelumab è un anticorpo monoclonale che si lega alla cosiddetta proteina checkpoint PD-L1: è una di quelle terapie che consentono al nostro sistema immunitario di riconoscere il tumore della vescica in quanto tale e di attaccarlo. A differenza dei chemioterapici, non ha un’azione diretta sulla malattia, ma favorisce la sua aggressione da parte del sistema immunitario. Il vantaggio è che questa risposta potrebbe durare nel tempo. Lo svantaggio, invece, potrebbe essere in generale quello di avere un tempo di attivazione della risposta più lenta. Ma visto che noi in questo tipo di protocollo iniziamo con la chemioterapia, la risposta iniziale è ottenuta dalla chemioterapia: i pazienti ottengono come minimo una stazionarietà della malattia, meglio se una risposta parziale o completa, stiamo parlando del 75-80% dei pazienti, che poi muovono su avelumab”. Così all’Adnkronos Salute Sergio Bracarda, direttore Dipartimento di Oncologia presso l’Azienda ospedaliera Santa Maria di Terni, in occasione del lancio del farmaco avelumab, frutto dell’alliance Merck-Pfizer.
La presentazione della terapia, già disponibile in Italia dopo l’ok di Aifa alla rimborsabilità del farmaco, questa mattina durante la conferenza stampa ‘Diamo il tempo al presente’, evento promosso da Merck e Pfizer. “Con avelumab abbiamo un controllo della malattia importante in fase iniziale – sottolinea Bracarda – e una possibilità di cronicizzare la risposta e di estenderla nel tempo aggiungendo l’inibitore di checkpoint in un secondo momento. Quindi un disegno abbastanza interessante, anche da un punto di vista scientifico e accademico”.