(Adnkronos) – La frattura fra gli azionisti di Generali è profonda e una sua ricomposizione, anche all’interno del consiglio di amministrazione, sembra lontana. Se da una parte l’assemblea degli azionisti della compagnia assicurativa ha sancito la vittoria della lista del cda uscente, sostenuta dal primo socio Mediobanca e complessivamente dal 39,5% del capitale del gruppo, dall’altra ha mostrato l’ampiezza della spaccatura. La lista di Caltagirone è stata votata dal 29,4% del capitale del Leone, una quota pesante che chiede un cambio di passo nella gestione della compagnia, più audacia e un salto dimensionale.
Dopo mesi di frizioni e polemiche, passate anche attraverso le dimissioni di Francesco Gaetano Caltagirone e del rappresentante di Leonardo Del Vecchio dal cda, si rischia di assistere a mesi di nuovi scontri e contrapposizioni. Dieci componenti del nuovo board vengono dalla lista del cda uscente e tre, fra cui lo stesso Caltagirone, da quella degli sfidanti. Alcuni osservatori si aspettano ora un’opposizione dura da parte della minoranza. Con il rischio che il cda non riesca a procedere all’unanimità e approvi le prossime iniziative a colpi di maggioranza.
In ogni caso Caltagirone in cda si proporrà come fattore di cambiamento. “Fin quando lo riterrò ragionevole, continuerò a operare perché il cambiamento avvenga”, ha detto. Ma potrebbe anche accelerare sul fronte delle cause e delle azioni legali, che negli ultimi mesi non sono mancate. Lo scarto del 10% del capitale complessivo fra le due liste potrebbe invece scoraggiare il gruppo dell’imprenditore romano dal chiedere, come ipotizzato, una nuova assemblea quando sarà scaduto il prestito titoli di Mediobanca e quando De Agostini sarà definitivamente uscita dall’azionariato. Ma nulla può essere escluso.
La famiglia Benetton, forte di un pacchetto del 4,75%, si è proposta come paciere per trovare una ricomposizione e molti sperano nel ruolo del neo presidente Andrea Sironi. I più ottimisti, poi, sperano che la presenza dei consiglieri di minoranza nel cda possa rappresentare un pungolo positivo nei confronti del management. Come hanno sottolineato diverse banche d’affari, Donnet potrebbe cercare di superare gli obiettivi del proprio piano per avvicinarsi a quelli più sfidanti del programma di Caltagirone, magari dedicando più risorse e un maggiore attivismo al fronte delle fusioni e acquisizioni.
Una strada che sembra evocata anche dalle dichiarazioni dello stesso Caltagirone. “Sono convinto che parte del risultato sarà comunque conseguito perché un consiglio di amministrazione eletto dal 55% dei voti non potrà non tenere conto dell’altro 45%”, ha detto.
Lo scontro, però, potrebbe ora trasferirsi su Mediobanca, azionista al 12,8% del Leone. Nel capitale dell’istituto di Piazzetta Cuccia Leonardo Del Vecchio ha il 19,4% e Caltagirone il 3,1% ed entrambi potrebbero decidere di contare di più per cercare di liberare la compagnia da quello che ritengono un asservimento a Mediobanca. Nelle prossime settimane si vedrà come decideranno di muoversi i due imprenditori. E’ difficile, ma non impossibile, che Del Vecchio possa lanciare un’Opa su Mediobanca, perché dovrebbe strutturare Delfin in modo da conformarsi agli stringenti criteri della Bce e diventare capogruppo bancario. Ma l’obiettivo è probabilmente l’assemblea degli azionisti del 2023, quando la banca d’affari dovrà rinnovare il consiglio di amministrazione.