(Adnkronos) – “Vorrei che nessuna madre, nessuna sorella, nessuna figlia e nessun bambino vedessero mai quello che abbiamo sopportato noi. La gente che l’ha fatto non nulla di umano”. Così all’Adnkronos Vittoria Klimtsova, risponde a chi avanza perplessità sul massacro di Bucha, dove lei durante il mese di occupazione russa ha perso un nipote ed è rimasta vedova ad appena 47 anni.
Il marito, Oleg, di 55 anni, è stato ucciso da una raffica di colpi la mattina del 28 marzo, mentre disarmato insieme a un amico stava preparando il pranzo per tutto il vicinato. È stato proprio negli ultimi giorni dell’occupazione russa che l’esercito di Mosca, prossimo alla ritirata, “ha sparato contro le case, colpendo nel mucchio. Hanno ucciso uomini malati e anziani, che non potevano rappresentare alcuna minaccia. Hanno ammazzato anche una donna che stava portando dell’acqua”, dice Vittoria.
L’incubo per lei e gli altri residenti della zona della vecchia vetreria di Bucha era iniziato però un mese prima. “L’esercito russo è entrato nel nostro quartiere il 3 marzo. Eravamo tutti alle finestre a fare video e foto alle truppe che marciavano per le strade. Oleg, che era molto coraggioso, ha detto a tutti di allontanarsi dai vetri e poi ha preso il nostro cane ed è uscito. Mentre passeggiava c’erano trenta soldati con i fucili puntati su di lui, che lo hanno accompagnato lungo tutto il tragitto, facendogli una marea di domande, anche perché lui parlava la lingua, dato che suo padre era russo”, racconta.
“Due ore dopo che è tornato a casa – prosegue – i soldati russi, giovanissimi e armati di fucile, hanno bussato alla nostra porta, dicendo che se non avessimo aperto, avrebbero sparato”. Nell’abitazione i militari hanno controllato i documenti di Oleg, di Vittoria e della 77enne mamma di lei, che abitava con loro e poi, dato che c’era la tv accesa, hanno fatto domande sull’andamento dei negoziati tra Russia e Ucraina. “Prima di andarsene, ci hanno detto di non uscire, perché in strada ci sarebbe stata una sparatoria”. Una volta a sera, mentre i russi allestivano il loro quartier generale nella vecchia vetreria, si sono intensificati i bombardamenti. “Siamo dovuti scendere nel seminterrato, eravamo dieci famiglie, con tre bambini. C’erano anche animali e anziani. Mancavano acqua, gas e corrente. La prima notte è stata molto dura”, racconta la donna.
Per questo all’indomani il marito ha deciso di uscire, per recuperare da mangiare, ma – spiega – “i russi avevano distrutto i negozi di alimentari del quartiere. Le medicine scarseggiavano e il Comune nella nostra zona non riusciva più a consegnare nulla”. La fuga è apparsa quindi l’unica soluzione. “Dando priorità a donne e bambini, abbiamo cercato di evacuare con mezzi privati. Qualcuno ci è riuscito, ma altri sono stati uccisi per strada mentre tentavano di scappare. Per questo mio marito è rientrato a casa e ci ha detto di non uscire, dato che c’erano già cadaveri in strada”.
Quello stesso giorno, era il 5 marzo, alla coppia sono stati consegnati i documenti del nipote 34enne e di un suo amico, membri della difesa territoriale, uccisi nei combattimenti a Bucha. “Quando gli hanno consegnato i documenti di Andriy mio marito non ha creduto alla sua morte. Di notte, strisciando, è riuscito a raggiungere la vecchia vetreria: ha visto tantissimi cadaveri sparsi per terra, ma non è riuscito a trovare quello del nipote”.
È stato allora che Oleg ha deciso che “avrebbe fatto di tutto per aiutare le persone rimaste a Bucha”. E così, insieme a un gruppo di coraggiosi amici, si è organizzato per portare l’acqua con una cisterna e consegnare alla gente del quartiere della legna e il cibo che riuscivano a trovare. “Il tutto sotto gli spari dei russi”, precisa Vittoria.
La sopravvivenza sotto occupazione russa è durata quasi un mese. “Poi il 28 marzo, al mattino, mio marito come al solito è stato l’unico ad avere il coraggio di uscire fuori, per preparare un caffè e qualcosa da mangiare, anche per le persone anziane che non erano in grado di farlo. Con lui c’era un amico ad aiutarlo. Erano lì, accanto all’autocisterna, a preparare il fuoco per cucinare. Io ero a casa e all’improvviso ho sentito una lunga raffica di colpi di fucile. E poi il nostro cane che grattava la porta di casa”, racconta la donna. “Appena ho aperto, ho visto che i russi avevano sparato direttamente contro la casa. Se fossi uscita solo un istante prima, mi avrebbero colpita”, dice.
Uscita per strada, ha raggiunto il falò e lì per primo ha visto il cadavere dell’amico del marito. “Intorno era tutto pieno di sangue, ma Oleg non c’era. Ho girato dietro alla cisterna e l’ho trovato: era seduto, con una pallottola nel petto”. Poi l’esercito russo si è ritirato “e andandosene hanno nuovamente aperto il fuoco contro la nostra casa e l’autocisterna, vicino a dove c’erano i corpi”. Dopo la liberazione di Bucha, il 2 aprile, Vittoria e sua madre hanno accettato la proposta di spostarsi altrove. Ora si trovano nella regione di Cerkasy, nell’Ucraina centrale.