(Adnkronos) – “Il grano dall’Ucraina non è essenziale, perché rappresenta meno del 4% delle nostre importazioni, ma il conflitto è andato a intaccare i prezzi e ora il mercato è molto nervoso”. Lo racconta all’Adnkronos Alessandro Alberti, presidente dell’associazione Granaria di Milano, che dal 1901 promuove e disciplina le contrattazioni dei cereali sulla piazza di Milano. Tutti i martedì Granaria organizza una giornata di mercato, al termine della quale viene pubblicato il listino settimanale dei prezzi. Nell’ultimo, del 5 aprile, il frumento tenero nazionale oscilla tra i 402 e i 407 euro a tonnellata. “I prezzi erano già saliti da prima della guerra intorno ai 320-325 euro, poi siamo arrivati anche a picchi di 420. Ora siamo scesi intorno ai 400, perché il mercato si sta un po’ calmando, ma la situazione resta sicuramente molto nervosa”, commenta Alberti.
Una volatilità di prezzi determinata non solo dal conflitto, ma anche da fattori atmosferici: “Da noi – ricorda – non ha piovuto per tanto, adesso è arrivata l’acqua, però non è ancora sufficiente e quindi c’è molta preoccupazione sul raccolto, alimentata anche dal fatto che è prevista un’ondata di freddo in Nord Europa fino a -10, che se non nevica può portare delle perdite di reso importanti sulle coltivazioni di grano”.
Incognite a cui a abituato chi commercia in cereali, ma che sommate alla guerra e alle conseguenze che ha generato, come blocchi delle esportazioni decisi da alcuni Paesi e una generale cautela negli scambi, “creano molto molto nervosismo, con il mercato che rimane ancora teso a prezzi alti”. A determinarli – spiega il presidente di Granaria – è anche la speculazione: “Quando da qualche parte del mondo arrivano notizie di destabilizzazione, che vanno a toccare materie prime, i fondi, che hanno una liquidità impressionante, la immettono nei mercati. Qualsiasi piccola notizia muove gli algoritmi dei fondi, facendo salire o scendere il nostro mercato di riferimento, su cui durante il giorno osserviamo oscillazioni che sono inusuali”.
Una dinamica che se la guerra finisse domani, si interromperebbe. Le conseguenze del conflitto sui raccolti, invece, si farebbero sentire in ogni caso ancora per mesi: “L’Ucraina adesso è in stagione di semina. Loro dicono che hanno iniziato a farla e che perderanno il 30-35%. Voci di trader privati, invece, parlano di una perdita di seminato anche del 50%. Il più impattato sarà il mais, che viene seminato in aprile”, dice Alberti.
E se il frumento ucraino rappresenta appena il 4% delle importazioni italiane (ancora meno pesa quello russo), “di mais ne importiamo di più: siamo intorno al 14-15% delle nostre importazioni dall’Ucraina”, dice Alberti, assicurando però che il problema non sta nella mancanza di materia prima, ma nel prezzo a cui la si paga. “Teniamo presente – sottolinea infatti – che in Ucraina hanno in casa pronte da esportare 16 milioni di tonnellate, ma con lo sbocco sul mare bloccato, stanno cercando di farlo via terra con treni. In questo modo riescono ad esportare al massimo 600 mila tonnellate al mese. Quindi il prodotto ci sarebbe, ma il problema è che non si riesce a portarlo via”.
Le conseguenze di tutto ciò che sta avvenendo nel mercato dei cereali secondo il presidente di Granaria non saranno tanto “per l’Italia, dato che noi al limite ci spostiamo su altre origini, ma per i Paesi africani, che soffrono di questa situazione in maniera esponenziale”.
Se non ci saranno problemi di approvvigionamento, è invece certo che sul portafoglio degli italiani le tensioni peseranno: “Il conflitto è andato a intaccare i prezzi del grano, come ha intaccato i prezzi dell’energia, che incidono parecchio sul settore molitorio, perché i mulini vanno tutti a corrente e si trovano le bollette raddoppiate. Si calcola in un anno una spesa di un milione di euro in più di energia, che devono ripercuotere sui prezzi della farina. Quindi un po’ il grano, un po’ l’energia, è chiaro che per il consumatore finale i prezzi si faranno sentire”.