Non importa quanto, ma come e perché. Per questo la Giornata mondiale ed europea contro la pena di morte quest’anno sarà dedicata alle donne, le vittime invisibili del patibolo. Poche, ma sacrificate tre volte: “all’esecuzione; ad un processo ingiusto che non tiene conto del background in cui è accaduto il crimine, quasi sempre avvenuto per legittima difesa da violenze domestiche; alla beffa del destino derivante dalla discriminazione”. E’ il quadro drammatico dipinto all’Adnkronos da Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International che aggiunge: “Ci preoccupa moltissimo l’Afghanistan. La scelta del tema è stato un modo per mettere in guardia sulle esecuzioni in quello Stato. Le immagini dei talebani e delle donne condannate a morte tra il 1996 e il 2001 sono negli occhi. Non ci risultano ancora esecuzioni, ma temiamo riprendano”.
Noury riferisce che le esecuzioni di donne nel mondo “sono poche, ma ognuna è particolarmente grave perché non si tiene conto nei processi di una serie di circostanze attenuanti: donne con alle spalle anni di violenza domestica, spose bambine vittime di altrettanta violenza ripetuta. Eppure per loro resta la pena di morte obbligatoria ed il sistema discriminatorio si riversa anche sulla pena capitale”. Una discriminazione innescata da stereotipi e pregiudizi con conseguenze letali contro cui si richiamano alla mobilitazione le scuole “centrali – conclude il Portavoce di Amnesty international – in una marcia di sensibilizzazione che durerà 50 giorni, fino al 30 novembre” ed indispensabili, dato che il cammino verso l’abolizione della pena capitale anche se “inesorabile, è ancora troppo lento”.
(di Roberta Lanzara)