Non tutto il cosiddetto colesterolo cattivo sarebbe ugualmente temibile. Ora il pericolo per le arterie si chiama ‘nuovo colesterolo cattivo’, ovvero Lipoproteina (a). Nota con la sigla Lp(a), si tratta di un importante fattore di rischio genetico, troppo a lungo trascurato, per le malattie cardiovascolari che rappresentano la prima causa di morte nel mondo, con una stima di circa 17 milioni di decessi l’anno, e che in Italia sono responsabili del 35,8% di tutti i decessi (32,5% negli uomini e 38,8% nelle donne), superando i 230mila casi annuali. Dati in aumento, secondo il documento ‘Prevenzione 2021’ prodotto dalla Società italiana per la prevenzione cardiovascolare (Siprec), perché gli italiani sono sempre più obesi, diabetici, ipertesi e affetti da dislipidemia.
Scoperta più di 50 anni fa – ricorda un articolo pubblicato da Alleati per la Salute (www.alleatiperlasalute.it), il portale dedicato all’informazione medico-scientifica realizzato da Novartis – strutturalmente simile alle Low Density Lipoproteine (Ldl, il colesterolo cattivo ‘tradizionale’) e sintetizzata dal fegato, è una lipoproteina a bassa-densità (Ldl, appunto) associata a un’apolipoproteina (a), e per questo motivo responsabile del trasporto del colesterolo nel sangue.
Come le Ldl, la Lp(a), se presenta livelli elevati (>30 mg/dL), contribuisce ad aumentare il rischio complessivo per una persona di sviluppare patologie aterosclerotiche come coronaropatia e ictus. Non a caso è sotto i riflettori dell’European Atherosclerosis Society (Eas). La Lp(a) infatti promuove l’accumulo di Ldl sulla parete dei vasi sanguigni, favorendo così la formazione di placche aterosclerotiche. Le placche possono portare al restringimento dei vasi sanguigni e al conseguente blocco del flusso ematico, aumentando la probabilità di incorrere in numerosi problemi, incluso l’attacco cardiaco e l’ictus. Non solo. Studi hanno mostrato che livelli elevati di Lp(a) sono associati a un alto rischio di malattia coronarica e stenosi valvolare aortica; inoltre, persone affette da ipercolesterolemia familiare (Fh) presentano livelli plasmatici di Lp(a) aumentati rispetto a coloro che non soffrono di ipercolesterolemia familiare. Al contrario, invece, bassi livelli geneticamente determinati di Lp(a) [
Tuttavia, la Lp(a) non risponde alla terapia standard per la diminuzione delle Ldl, come la dieta a base di un’alimentazione variegata e sana, l’esercizio fisico o l’assunzione di statine. Attualmente non esistono farmaci approvati per ridurre specificatamente i livelli plasmatici di Lp(a), ma evidenze emergenti stanno riaccendendo l’interesse per la particella lipoproteica.
Conoscere per ogni singolo individuo il rischio futuro d’infarto, e più in generale di malattie cardiovascolari legate all’aterosclerosi, appare fondamentale in chiave di prevenzione personalizzata. Per questo motivo, come da alcuni anni raccomandano le linee guida della Società europea di cardiologia (Esc) e dell’Eas, la misura di Lp(a) è indicata solo in pazienti ad alto rischio per lo sviluppo di malattie cardiovascolari, o con anamnesi familiare positiva per l’insorgenza giovanile di patologie cardiovascolari. Fondamentale sottoporsi al test della Lp(a) anche in seguito a infarto cardiaco o ictus, se si ha una ipercolesterolemia o si presentano livelli lievemente aumentati di colesterolo Ldl. La misura della Lp(a) avviene attraverso un semplicissimo prelievo del sangue. In generale l’esame non richiede alcuna preparazione, tuttavia potrebbe essere richiesto di effettuare il test dopo un digiuno di 12 ore.
L’articolo completo è disponibile su: https://www.alleatiperlasalute.it/open-innovation/malattie-cardiovascolari-con-elevati-livelli-di-lipoproteina-il-rischio-aumenta.