Home ATTUALITÀ La battaglia di mamma Annarita: “Voglio la verità su mio figlio David”

    La battaglia di mamma Annarita: “Voglio la verità su mio figlio David”

    “Oggi è il compleanno di mio figlio. Ma mio figlio David non c’è più da dieci, lunghi, anni. E tornato dall’Afghanistan in una bara. E io gli devo verità e giustizia. Il Tribunale non può archiviare l’inchiesta. Ci sono ancora molte, troppe, cose da chiarire sulla sua morte. E non lo dico perché sono la madre, ma perché venga resa giustizia al caporalmaggiore David Tobini, morto per la patria il 25 luglio del 2011”. Annarita Lo Mastro è una donna provata ma dagli occhi vivaci. Da dieci anni chiede giustizia per il figlio, un parà della Folgore, morto in Afghanista durante una missione di pace. La Procura di Roma, che indaga sulla morte del giovane militare, nel settembre scorso ha chiesto l’archiviazione del caso perché “dalle ulteriori attività di indagini effettuate non vi sono elementi vhe possano permettere in maniera univoca una ricostruzione del fatto che ha portato la morte di David Tobini”. 

    La madre del parà si oppone all’archiviazione, con l’aiuto del suo legale, l’avvocato Paolo Pirani, e adesso si attende la decisione del gip che si è riservato. “Non si può archiviare il caso – spiega Annarita Lo Mastro in una intervista all’Adnkronos – Perché ci sono diverse perizie, come quella fatta dall’esperto balistico Paride Minervini, ex ufficiale della Folgore, da cui emerge con chiarezza che David è stato colpito da dietro, come confermato dal buco del proiettile sull’elmetto, mai radiografato”. Una perizia fatta con le munizioni e le armi compatibili, è l’unico balistico che ha l’autorizzazione del ministero difesa”. Il primo fascicolo sul caso è stato chiuso dopo pochi mesi. “Mancava la perizia del Ris – dice oggi Annarita Lo Mastro – la stessa perizia nel 2012 dice che il proiettile è posteriore con inclinazione dal basso verso l’alto, mentre la perizia del 2020 sempre del Ris dice che il colpo è anteriore cioè frontale. Eppure il pm chiede l’archiviazione”. 

    In dieci anni sono stati tanti i non detti, i misteri. Come quello della lettera scomparsa. Una missiva scritta dal giovane parà alla madre ma che non le è mai stata consegnata, nonostante risulti tra gli effetti personali poi restituiti alla donna. “Quando mi consegnarono gli effetti personali di mio figlio – racconta -non aprii subito la scatola, era passato poco tempo. La apro dopo due giorni e c’è il verbale. Mi salta subito all’occhio che viene citata una lettera personale. Che non c’era. Chi non sapeva, chi non aveva idea. Cosa c’era scritto in quella lettera?”. “Non so cosa avesse scritto mio figlio di così tanto fastidioso – prosegue la mamma di David – soprattutto mi domando, qualora ci fosse stato anche un disegno, come si sono permessi di toccare una cosa personale?”. 

    E ancora: Chi era accanto a David, nel giorno in cui è morto, in quella buca profonda appena 40 cm e larga 1,50, “non mi ha mai parlato”, dice la madre. “I l’ho pure incoraggiato, ma lui mi è sfuggito e mi ha schivato, con atteggiamento arrogante. Perché?”. Potrebbe essere stato ucciso da fuoco amico, David? La madre ne è convinta. “Beh, io mi chiedo se il fuoco amico è contemplato, per quale motivo è stato nascosto? Oggi come oggi, con la scomparsa della lettera penso a tanto altro. Mi sembra un atto vile. Non conosco le parole di mio figlio e vivrò la fine dei miei giorni con questa domanda che continua a perseguitarmi”. “Io ho cercato in ogni modo di conoscere la verità – dice – ho bussato a tutte le porte, chi non le ha chiuse mi ha preso solo in giro…”. Se la prende anche con qualche trasmissione tv che “non ha avuto coraggio”. 

    In passato ha anche incontrato la ex ministra della Difesa Elisabetta Trenta. “Parlavamo dell’incongruenza della onorificenza data a mio figlio, una medaglia d’argento al valor militare. Non d’oro. D’argento”. Perché d’argento? “Investito da intenso fuoco ostile, reagiva con l’arma in dotazione esponendosi più volte, incurante della propria incolumità, al fine di garantire la sicurezza dei propri commilitoni. Durante l’ennesimo tentativo di debellare la proditoria azione avversaria veniva mortalmente colpito. Fulgido esempio di graduato paracadutista che immolava la propria vita ai più alti principi militari”. Ecco cosa si legge nelle motivazioni nel 2013. “Ma io non ero lucida”. “Perché mio figlio non ha meritato la medaglia d’oro? Perché colpire la sua dignità anche da morto?”. E annuncia: “Se non avrò verità e giustizia sono pronta a riconsegnare la medaglia”. 

    “Io voglio solo che venga fuori chi ha calunniato mio figlio – dice poi Annarita Lo Mastro – dopo avere fatto un grosso danno. Perché chi si presta a tutto questo non è degno di indossare una divisa, oggi è toccato a mio figlio e domani a chi?”. Si chiede ogni notte cosa è accaduto quella mattina del 25 luglio di dieci anni fa in Afghanistan. “Io ho fatto fare le perizie perché mi hanno detto: ‘Suo figlio ha fatto un gesto che militarmente non è consentito ‘ ma siccome io mi sento una madre obiettiva, mi sono detta: ‘Se lui ha sbagliato, va accertato. A quel punto mi sono presentata ai tre periti e ho detto: io voglio la verità. Perché se mio figlio fa un gesto inconsueto una mossa che non è consentita e che lo ha portato a esporsi io mi fermo. Ma siccome tre periti su tre mi dicono che il colpo non è compatibile con la dichiarazione fatta, e mi dicono è un mitragliatore e che non poteva stare sdraiato, perché si sarebbe dovuto esporre? Trai due uno ha fatto il proprio dovere e l’altro si è sottratto. Io voglio soprattutto che la divisa venga tolta a chi è capace di calunniare un proprio commilitone. Perché io penso che dare la colpa a chi non si può difendere e non può parlare è un gesto vile”. 

    Cosa si aspetta Annarita Lo Mastro dal gip? “Ad oggi sono preoccupata. Sarebbe importante fare altri accertamenti, Minervini li ha fatti. Perché, ad esempio, non consentono di fare una lastra a quell’elmetto?”. Altra cosa importante: “Mio figlio era mancino, e durante le prove, le perizie gli studi si è tenuto conto di questo fatto ma molte cose non tornano”. Poi, abbassa gli occhi, li rialza e con voce ferma dice: “Io non mi fermerò neppure se il gip dovesse archiviare l’inchiesta”. “Qualcosa mi inventerò”. (di Elvira Terranova)