La crisi economica legata alla pandemia ha influito negativamente sull’occupazione. Nonostante la graduale ripresa, il mondo del lavoro è destinato a cambiare in modo significativo. A livello nazionale le previsioni occupazionali elaborate da uno studio del 2021 di EY, Pearson e Manpower Group indicano che nel prossimo decennio quasi l’80% delle professioni attuali sono destinate a cambiare, con il dato spaccato fra una crescita per il 36% delle professioni e una diminuzione per il 40%. Questo significa che diventa necessario sviluppare nuove competenze, ponendo particolare attenzione sul capitale umano.
In realtà la pandemia ha solo accelerato processi di cambiamento già in atto e legati a nuove tecnologie, digitalizzazione, benessere e supporto della persona e dell’ambiente. Tra nuove professioni, incognite e incertezze quale futuro attende l’universo del lavoro? Una domanda a cui hanno cercato di dare risposta eminenti filosofi, imprenditori di alto profilo e rappresentanti delle istituzioni che hanno preso parte all’evento ‘Il lavoro del futuro’, prima tappa del ‘Road to EY Digital Summit 2021’ che si svolgerà a ottobre.
In principio il lavoro era fatica e sudore. Oggi prevale un concetto di lavoro legato alla sfera spirituale rispetto a quella fisica, maggiormente connesso alla consapevolezza di sé e alla possibilità di svolgere un’attività che contribuisca alla crescita personale, sociale, oltre che economica. “Siamo a una svolta: il lavoro per generare ricchezza deve sempre più esaltare qualità etiche e morali. Per questo dal concetto di labor si deve passare a quello di attività libera dove ognuno deve poter esprimere sé stesso. Un nuovo paradigma che deve produrre ricchezza per tutti e non arricchire i pochi”, afferma Massimo Cacciari, professore emerito presso la facoltà di Filosofia dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
Gli fa eco il collega Maurizio Ferraris, professore ordinario di Filosofia Teoretica all’Università degli studi di Torino che dichiara: “Siamo al tramonto dell’era dell’homo faber, ma non per tornare indietro all’uomo cacciatore o agricoltore, quanto per riflettere sul costante divenire dell’homo sapiens. L’umanità tende sempre a migliorarsi, ma in questo processo bisogna puntare sull’educazione quale chiave di volta per una maggiore responsabilità nei confronti degli altri e dell’ambiente”.
Gli scenari futuri non possono più prescindere da fattori quali open innovation e sostenibilità ambientale e sociale. Nel panorama aziendale sono sempre di più le realtà che operano in maniera più attenta riguardo temi come benessere e crescita a livello globale e del personale. “Siamo in una fase di ristrutturazione cognitiva. La difficoltà sta nel riuscire a trasferire questa cognizione all’interno di un’azienda. Ci deve essere un’ulteriore presa di consapevolezza delle aziende che devono investire di più sul capitale umano e su quello sociale. Per anticipare il futuro, inoltre, serve uno sguardo lungimirante a cominciare dal riconsiderare il rapporto con organizzazioni e università”, afferma Donato Ferri, europe west consulting manager partner di EY.
“Oggi le industrie sono parte di un nuovo ecosistema digitale con figure professionali e strategie differenti. Per questo è importante investire in formazione specifica e trasformare le risorse già in azienda”, dichiara Ilaria Catalano, executive director business operations & digital strategy di Msd Italia.
“In un settore in grande trasformazione come quello del lavoro, un ruolo sempre più importante è rappresentato dalle cosidette soft skills. Spirito di adattamento, creatività, problem solving, ascolto attivo, comprensione degli altri, per citarne alcune, rappresentano oggi la chiave per un cambiamento che corre veloce. “Velocità è la parola chiave per affontare la questione dello sviluppo delle competenze. In questo cambiamento diventa fondamentale a livello personale sviluppare le soft skills, che saranno sempre più richieste, specie in un quadro generale che vedrà le aziende sempre meno organizzate per rigide gerarchie”, dichiara Stefano Scabbio, president southern europe di Manpower Group.
Oltre la metà degli studenti di oggi, in futuro svolgeranno professioni che al momento sono sconosciute. Si tratterà di nuovi lavori basati molto di più su competenze digitali, soft skills e su concetti come diversity e inclusion. “Per questo -afferma Matteo Mille, chief marketing and operations officer di Microsoft Italia- il ruolo della formazione delle nuove generazioni diventa prioritario. In questo senso i fondi previsti nel Pnrr rappresentano un’occasione imperdibile per occuparsi seriamente di formazione e competenze. Ma oltre ai sostegni economici, occorre un cambiamento nell’approccio all’insegnamento, impostato su orientamento, nuove tecnologie e inclusione”.
“Nel mondo dell’istruzione la tecnologia avrà un’importanza crescente, ma per poter essere efficace deve essere accessibile a tutti e integrare il ruolo dell’insegnante, non sostituirlo”, afferma Mario Mariani, amministratore delegato di Pearson Italia. Un concetto espresso anche da Giuseppe Laterza, presidente della Casa Editrice Laterza: “Dietro a ogni tecnologia ci sono sempre l’uomo e il pensiero. Nella formazione non sono solo le competenze a essere importanti, ma anche le conoscenze. In definitiva per il nostro Paese è necessaria una ristrutturazione cognitiva e culturale”, sottolinea.
Digitalizzazione della formazione, competenze trasversali e nuovi linguaggi, che avranno sempre più un ruolo centrale nel futuro del lavoro, sono temi nell’agenda del Governo già da qualche anno, come sostiene Simona Montesarchio, direttore generale per gli interventi in materia di edilizia scolastica, per la gestione dei fondi strutturali per l’istruzione e per l’innovazione digitale del ministero dell’Istruzione: “Nel 2020 abbiamo assistito al primo passo di una profonda trasformazione verso la transizione digitale. In ottica di digitalizzazione della formazione, l’anno passato sono stati formati 618 mila docenti, mentre per il piano scuola digitale ingenti investimenti sono previsti dal PNRR”, sottolinea. Insomma, le basi per accedere alla transizione digitale sono state poste, ma c’è ancora molto da fare.
Le profonde trasformazioni causate dalla pandemia ci hanno insegnato che in prospettiva bisognerà considerare scenari non prevedibili. “Per diventare protagoniste di questi cambiamenti le aziende devono agire secondo linee chiare, condivise e con estrema capacità di sintesi”, conclude Donato Ferri.
Massimo Cacciari, invece, sottolinea una volta di più l’importanza del fattore umano: “per affrontare i cambiamenti a cui stiamo assistendo è prioritaria la formazione di capacità trasversali che permettano a tutti di essere attivi nel mondo del lavoro, ciascuno con le sue abilità.” Un concetto sostenuto anche dal suo collega Maurizio Ferraris: “in ottica di formazione mirata alla creazione di nuove professioni e abilità specifiche, bisogna favorire l’avvicinamento tra aziende e università”, conclude.