“Ripensandoci a posteriori, qualche giorno dopo, viene da dire che la vittoria della nazionale di calcio agli europei sembra aver offerto alla nostra politica -oltre alla gioia per il risultato- una sorta di mappa su cui cercare di organizzare la propria risalita dagli inferi nei quali da un po’ di anni a questa parte si trova imprigionata.
Del resto, il nesso tra il calcio e la politica ha una lunga storia alle spalle. Una storia che si riassume -giusto per dirne una- nell’intemerata che Togliatti rivolse ai dirigenti del Pci: come pensate di guadagnarvi il consenso del paese se non conoscete la formazione della Juventus? Erano i lontani anni quaranta, e da allora un’infinità di leader politici hanno fatto la passerella allo stadio per propiziarsi qualche voto in più e celebrato le grandi sfide nel tentativo di rendersi più simpatici.
Ora, è piuttosto ovvio che la politica cerchi di trarre dalla vicinanza ai campi sportivi il vantaggio di una facile popolarità. Tanto più quando dai vince. Ma è anche vero che alle volte quella stessa vicinanza insegna qualcosa, e qualche altra cosa svela.
Nulla di nuovo, insomma. Se non il fatto che certe similitudini, e certe allusioni, sembrano ora essersi fatte più chiare. La nazionale ultima versione infatti si è caratterizzata per tecniche di allenamento, schemi di gioco e modalità di relazioni che cascano quasi a fagiolo una volta che ci si metta a ragionare sulla politica e su come migliorarla un po’. C’è l’affiatamento tra i giocatori, la loro intercambiabilità, l’adesione ai codici del fair play. E poi, s’intende, la predicazione di una ragionevole umiltà. E ancora, l’elogio della fatica, della tenacia e della generosità. Tutte cose che la nazionale di Mancini, per brava che sia, non ha di certo inventato. Ma a cui, in questa occasione, è sembrata dare nuovo lustro.
In una squadra nella quale non c’è un mattatore, tutti si sono resi utili. La figura di Sirigu, il secondo portiere che ha giocato solo pochissimi minuti ma che si è offerto come il ‘motivatore’ dei suoi compagni sembra riassumere una più ampia filosofia. Quella che assegna a tutti un ruolo, e a tutti i ruoli annette un valore in qualche modo strategico. Metafora politica anche questa, se vogliamo.
Così, il gioco degli specchi tra la politica e la nazionale finisce quasi per intrecciare un programma di governo con una predicazione di civismo pubblico. Argomenti a cui il compassato tifoso Sergio Mattarella e il tifoso un po’ meno compassato Mario Draghi hanno fatto eco, all’unisono con leader, semileader ed ex leader che si sono a loro volta un po’ tutti dedicati a celebrare debitamente l’evento di Wembley.
Insomma si può dire che i valori dello sport, presi alla lettera, sono politicamente i più trasversali. C’è dentro tanto patriottismo, che piace a tutti; e anche tanto nazionalismo, che più di tutti piace alla destra. C’è una sorta di ascensore sociale, caro alla sinistra, che offre a ragazzi di umili origini la possibilità di scalare le vette del successo e del reddito (anche troppo, sia consentito di dirlo). C’è il senso tipicamente liberale di una contesa imperniata sul libero mercato. C’è il rispetto delle regole che dovrebbe appartenere a tutti quelli che si misurano nelle istituzioni. C’è una forma di solidarietà tra i compagni di gioco che sembra quasi echeggiare la dottrina sociale della Chiesa. E via elencando, e mescolando tutte le virtù e tutti i doveri che fanno di un campione il prototipo del buon cittadino, quale che sia il suo colore politico.
Così, la politica in questi giorni si presenta felicemente unita sul calcio. E divisa invece a quanto pare sul ‘green pass’. Anche se forse sarebbe preferibile che fosse il contrario”. (di Marco Follini)