“Secondo Hegel le grandi tragedie della storia nascono quasi sempre dallo scontro tra due ragioni. Nel suo piccolo, la politica italiana sembra piuttosto dedicarsi allo scontro tra due torti. Con esiti meno tragici, ma forse più grotteschi.
Tale, ad esempio, è la sciarada in corso in queste ore tra i cinque stelle, che vede contrapposti Grillo e Conte. Il primo, il comico, ha il torto di voler conservare a tutti i costi una primazia politico spirituale che il nuovo statuto dovrebbe confermare ancora una volta. Quasi un diritto di proprietà sul movimento che ha fondato e poi guidato lungo rotte mai troppo lineari. Il secondo, l’avvocato, ha il torto di pretendere che gli vengano consegnate, o meglio graziosamente regalate, le chiavi di un palazzo che altri hanno edificato e di cui lui ora rivendica la proprietà nel nome di un disegno strategico mai chiarito fino in fondo.
Il conflitto di queste ore verte dunque, da una parte e dall’altra, sul potere. Come a ribadire il destino a cui si trovano a soggiacere i partiti di ultima generazione: tutti più o meno legati a un leader che ne diventa il detentore del simbolo, il demiurgo politico e il padrone delle candidature. E al quale peraltro viene consentita ogni incoerenza in ragione del supremo compito che gli è stato affidato.
Ora, che la politica sia anche, e qualche volta soprattutto, uno scontro di potere non dovrebbe scandalizzare. Avviene così nelle migliori famiglie (politiche), come è noto. Ma quello che un po’ sconcerta è che il M5S si era presentato sulla scena politica come la forza che avrebbe rigenerato i nostri costumi. E invece, a quanto pare, di quei costumi -anche quelli più disdicevoli- ha finito per rivestirsi e quasi pavoneggiarsi.
Il fatto è che, al di là dei destini personali di Grillo e di Conte (e di quel che rimane del loro non-partito), c’è un problema più ampio che queste cronache mettono in evidenza. E cioè che una forza populista può forse cambiare il suo spartito, ma non può farlo da un giorno all’altro. E che se invece lo fa così, senza un briciolo di autocritica, è segno che sta ciurlando nel manico. D’altro canto, a suo tempo l’avvento del populismo fu lungamente preparato da una semina di argomenti, veleni e luoghi comuni che ne favorirono l’insediamento. Se ora si intende archiviare l’argomento, o quantomeno attutirne certe spigolosità, e prendere un’altra strada, occorrerebbe offrire in cambio almeno una spiegazione. Di cui in queste ore non si vede traccia.
C’è insomma un difetto che accomuna Grillo e Conte e li rende piuttosto simili a dispetto delle apparenti diversità. E cioè che nessuno dei due fino ad ora ha mai chiarito in cosa consista la fase 2.0 della loro creatura politica. Offrirsi come un partito governista, moderato, alfiere dei ceti medi, alle volte perfino grottescamente erede del meglio della prima repubblica e nello stesso tempo conservare le ragioni e la memoria della loro anomalia di forza orgogliosamente populista non è una contraddizione tra tante altre. E’ una drammatica scissione della loro personalità politica. Qualcosa insomma che dovrebbe essere elaborato per rispetto verso se stessi oltre che per dovere verso gli elettori.
L’ultima versione del M5S appare oggi letteralmente divisa in due. Un po’ con Draghi, un po’ contro. Un po’ sulle barricate, un po’ seduti sull’auto blu. Un po’ a custodire il loro passato e un po’ a fantasticare di un futuro che di quel passato non ha più nulla. E adesso, a quanto pare, un po’ con Grillo e un po’ con Conte. Una contesa che oppone due furbizie allo specchio. Se è vero che prima o poi le volpi finiscono in pellicceria (copyright Bettino Craxi), in quell’armadio ci deve essere ancora posto per molte di loro”.
(di Marco Follini)