“Le Acli considerano necessario il rifinanziamento del reddito di cittadinanza perchè sia anche uno strumento usato come un ammortizzatore sociale: ricordiamo che siamo anche alla porta della scadenza dello sblocco dei licenziamenti e non possiamo lasciare persone senza reddito”. Lo dice ad Adnkronos/Labitalia Emiliano Manfredonia, 46 anni, di Pisa, da febbraio presidente nazionale delle Acli. “Il tema del reddito di cittadinanza è complesso -premette ManfredoniA- e anche questo periodo è complesso per via di tutta una serie di processi che il Covid ha accelerato”. A partire dalla povertà assoluta, certificata per il 2020 dall’Istat per 5,6 milioni di persone. Tuttavia, sottolinea Manfredonia “il reddito di cittadinanza così com’è non va bene e va cambiato”. Il presidente delle Acli elenca alcune delle criticità: “Ad esempio c’è il tema dell’Isee: se uno perde il lavoro non può usufruire del reddito di cittadinanza ma deve aspettare l’anno successivo. Poi c’è il tema delle politiche attive del lavoro che riguarda tutti, non solo chi è in condizione di povertà e che devono essere riformate e non possono essere legate esclusivamente al reddito”. La parte che è mancata, dice Manfredonia, è stata “la presa in carico della persona” e di conseguenza è fallita la possibilità di trovare un lavoro ai percettori del reddito di cittadinanza. “Rispetto al Reddito di inclusione sociale -ricorda- le amministrazioni locali e il Terzo Settore hanno avuto meno centralità rispetto ai centri per l’impiego, che sicuramente non erano preparati a prendere in carico un numero così elevato di persone”.
Acli da sempre a favore strumento a sostegno persone
“Acli è sempre stata a favore di uno strumento che desse sostegno alle persone -chiarisce il presidente- e abbiamo visto che con l’emergenza si è dovuto anche attivare il Rem, il reddito di emergenza, per intercettare quella povertà che non veniva intercettata dalle maglie troppo larghe del Rdc. Ma le persone, le famiglie, in difficoltà vanno prese in carico dal sistema pubblico, cosa che è mancata e il legame con le politiche attive del lavoro deve essere stringente ed efficace. Cosa che non possono fare certo 1.000 navigator”. “Prendere in carico vuol dire capire quali sono le problematicità e le possibilità di quella persona. E capire che è diverso, se parliamo di una persona che dorme per strada per cui il lavoro è l’ultimo dei tasselli di una presa in carico, o se parliamo di una famiglia o di persone che sono disoccupate da tempo e che attraverso una formazione professionale possono avere delle opportunità. Non è solo un incrocio domanda-offerta”, dice aggiungendo: “Credo e mi auguro che ci sarà una riforma del reddito di cittadinanza, ma i cordoni della borsa non vanno stretti. Anzi, vanno allargati”. “Stiamo spendendo tanti soldi per il reddito di emergenza, il Rem -osserva Manfredonia-, che è uno strumento emergenziale. Ma deve rientrare in uno strumento strutturale di contrasto alla povertà”, spiega.
“6.000 furbetti non devono mettere in discussione norma”
Riguardo alle circa 6.000 persone individuate nel 2020 dalla Guardia di Finanza per aver percepito indebitamente il reddito di cittadinanza, il presidente delle Acli osserva con Adnkronos/Labitalia: “Sono persone che vanno punite, ma per loro non deve essere messa in discussione una norma. Sono molti di più gli evasori totali e questi sì che mi scandalizzano davvero”. Anche la narrazione che le imprese non trovano il personale “perchè ai giovani piace di più prendere il reddito di cittadinanza -aggiunge Manfredonia- è una battuta cattiva e basta: manca la formazione, manca il personale formato”.”Per questo le aziende non trovano alcuni lavoratori”. “Se all’avvio del lavoro togliamo il reddito di cittadinanza alle persone che lo percepiscono, -prosegue il presidente- si disincentivano quelle persone a prendere un lavoro magari part time, ma che fa uscire dal lavoro nero o grigio”. “Se invece consentiamo, per un periodo anche breve, che la persona lavori e continui a prendere un pezzo del reddito di cittadinanza e che non esca da quel circuito, questo può favorire l’ingresso nel mercato del lavoro”, aggiunge Manfredonia. “Bisogna pensare che il reddito di cittadinanza abbia delle forme ‘miste’ di assunzione”, conclude.
Sì a sblocco selettivo licenziamenti
“Siamo per lo sblocco selettivo dei licenziamenti, perchè temiamo che ci possa essere una ‘bomba sociale’. Ma il provvedimento che ha fatto il governo ci sembra un po’ troppo restrittivo” dice ad Adnkronos/Labitalia, Emiliano Manfredonia, presidente nazionale delle Acli. “Dobbiamo cercare di dilazionare meglio questo sblocco -dice Manfredonia- perché ancora mancano le politiche attive del lavoro. Il problema è che oggi tante persone sono assunte da imprese che sono morte, sono imprese-zombie. Quindi non si fa un favore nè all’impresa che non riaprirà nè al lavoratore che nel frattempo non si riqualifica”. “Si può certamente rimandare la fine del blocco ad ottobre come dicono i sindacati -spiega Manfredonia- ma il tema è ‘quali sono le politiche attive che mettiamo in campo per far sì che le persone non perdano reddito?’. Bisogna fare in modo che l’ondata delle persone che escono dal lavoro non diventi uno tsunami. E qui non siamo pronti ora come non lo saremo ad ottobre”, conclude.
Assegno familiare, attenti ai calcoli
“L’assegno familiare unico effettivamente è un sostegno al reddito mirato, uno strumento giustissimo anche se non è con 167 euro che cambi la vita alle persone. Attenti però ai falsi messaggi perché , se si sceglie la via dell’assegno unico, vengono tolte tutta una serie di misure come i bonus dei primi anni di vita e le detrazioni fiscali. E una larga fetta di famiglie italiane potrebbero vedersi dunque ridurre gli importi percepiti, ed un’altra parte ancor più consistente potrebbe vedere l’importo effettivamente erogato, ridotto a meno di 30 euro al mese come differenza tra il trattamento postriforma e quello ante”. Lo dice ad Adnkronos/Labitalia, Emiliano Manfredonia presidente delle Acli. Proprio le Acli nei mesi scorsi hanno preparato un dossier che hanno presentato al governo, ma il decreto sull’assegno unico “rimanda solamente i problemi -osserva Manfredonia- e non a caso lascia per alcuni mesi ‘il doppio binario'”.
“La criticità maggiore -rimarca il presidente- è l’interazione con l’attuale normativa collegata alle detrazioni Irpef e delle addizionali regionali che, stando a quanto calcolato da più istituti di ricerca, coinvolgerebbe circa 1,35 milioni di famiglie italiane, per lo più concentrate su quelle con redditi medio bassi e presenza di uno e più figli. Quelle più fragili, in buona sostanza”. Il nuovo Assegno Unico, infatti, “cancellerebbe tutta l’attuale normativa collegata alle detrazioni Irpef e quella relativa agli assegni di Nucleo Familiare, oltre che tutti i vari bonus specifici per la famiglia e i figli che si sono susseguiti in questi anni”. Emiliano cita una simulazione effettuata da Caf e Patronato Acli: “Ipotizziamo un nucleo familiare composto da due genitori ed un figlio di 5 anni. Uno dei genitori è lavoratore dipendente con reddito annuo di 30 mila euro. Alla nascita di un altro figlio ha un Isee pari a 12.198 euro”. “Con le norme di oggi il nucleo familiare fruisce nel primo anno di vita del bebé, complessivamente 5.528,96 euro dati da premio alla nascita ( 800 euro una tantum), bonus bebè (1.728 annui), Anf (1.422,96 annui), detrazioni fiscali figli a carico (1.578,00 annui). Con le nuove norme dell’assegno unico prenderà 4.186,00 euro (161 euro per 12 mensilità a favore del primo figlio, e 161 euro per 14 mensilità – considerato che il beneficio parte dal 7° mese di gravidanza – per il secondo figlio appena nato)”, spiega Manfredonia. Insomma, “bisogna stare attenti e fare bene i calcoli con l’assegno unico nei primi anni di vita una famiglia può prendere di meno”, dice il presidente che aggiunge: “E’ però importante che ora la platea sia aumentata tantissimo con l’estensione del diritto agli autonomi e alle partite iva. E perchè pensa al bambino: è un cambio di paradigma”. (di Mariangela Pani)