Alla fine sul dossier clima i leader europei “troveranno sicuramente l’accordo”. L’obiettivo da raggiungere, ovvero il taglio di almeno il 55% delle emissioni entro il 2030, non è in discussione “ma bisogna rivedere i parametri per calcolare lo sforzo di ogni singolo paese” tenendo conto degli impatti che la pandemia ha avuto anche sulle economie avanzate. Lo afferma all’Adnkronos, l’ex ministro dell’Ambiente, Sergio Costa, secondo cui calcolare la riduzione richiesta a ogni Stato in base al Pil pro-capite del 2013 penalizzerebbe l’Italia ma anche altri paesi nel post covid ai quali “si chiede uno sforzo per una ricchezza che non hanno più”.
“Abbiamo vissuto una pandemia che non era prevedibile ed è una condizione unica a livello planetario” commenta Costa proponendo di calcolare “il pil sulla situazione di partenza, ovvero al 2020 oppure come media mediata tra il 2018 e 2020. Io negozierei così”. “E’ interesse di tutti aiutare i paesi in maggiore difficoltà ma quell’aiuto non deve essere penalizzante per gli altri” ribadisce Costa.
Dietro la mancata intesa al consiglio europeo di ieri c’è poi un altro tema caldo, quello del nucleare che continua ad entrare nel dibattito come unica alternativa disponibile al combustibile fossile.
“Dietro ogni attività ci stanno dei portatori di interesse. Non demonizzo chi fa il suo lavoro ma il nucleare non è utile rispetto alle fragilità del nostro territorio, ad alto rischio sismico, di frane e alluvioni” sottolinea Costa ricordando che sul no al nucleare gli italiani si sono espressi ben due volte con due referendum in modo netto e incontrovertibile.
Secondo l’ex ministro dell’Ambiente, dunque, “l’Italia avendo un indice di ventosità e solare altissimo, ha sicuramente un’opportunità alternativa”. “La transizione alle rinnovabili è possibile ed io preferisco percorrere questa strada e acquistare all’estero dove non arrivo, piuttosto che correre un rischio sociale” conclude Costa.