“I test per l’Hiv fatti dalle associazioni che lavorano su territorio, consentono anche un supporto di counseling. Le persone hanno anche modo di parlare della loro sessualità, delle modalità di trasmissione dell’Hiv, con qualcuno che non ha un camice addosso. Tutto questo viene fatto dalle associazioni in maniera volontaria. Un volontariato parzialmente riconosciuto dalle istituzioni. Magari ci viene detto che siamo bravi ma dobbiamo arrangiarci per recuperare materiale e per le diverse attività. Un vero supporto non c’è”. Lo detto Massimo Cernuschi, infettivologo e presidente dell’Associazione solidarietà Aids (Asa) Onlus nel corso dell’incontro on line dedicato alla comunicazione sulla malattia, in occasione della presentazione dei vincitori della ‘Call4Artists’, lanciata da Gilead per il progetto ‘Together we can stop the virus’, con l’obiettivo di far raccontare, attraverso l’arte, i 40 anni della malattia.
“In Francia tutto ciò è gestito assolutamente al contrario dal sistema, dal pubblico, dallo Stato, dal sistema sanitario”, ha detto Cernuschi ricordando che “le persone che scoprono di avere l’Hiv hanno le stesse paure di 40 anni fa di essere discriminati, di star male, di cambiare l’aspetto fisico”. Anche se oggi ci sono opportunità di terapia e di convivenza con il virus. “Negli ultimi anni l’annuncio più importante è stato quello della certezza che chi ha l’Hiv ed è in terapia non è un pericolo per nessuno perché non è contagioso”.