“La verità è che la discussione sul ddl Zan si è polarizzata tra pregiudizialmente favorevoli e pregiudizialmente contrari, mentre un’analisi giuridica più attenta non può fare a meno di evidenziare che al di là dell’opportunità dell’intervento c’è un problema tecnico: ferma la necessità di garantire ai cittadini italiani quella pari dignità sociale di cui parla l’articolo 3 della Costituzione, come bisogna farlo?”. Ne parla con l’Adnkronos il costituzionalista Massimo Luciani, ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico all’Università di Roma La Sapienza, alla guida della Commissione deputata a scrivere la riforma del Csm formata dalla ministra della Giustizia Marta Cartabia, che, intervenendo nel dibattito sul ddl Zan in occasione della ripresa dei lavori sull’omofobia oggi in Commissione al Senato, non ha dubbi: “I toni da crociata del ‘tutto sì e tutto no’ non si addicono al ragionamento giuridico. Andrebbe fatto un discorso tecnico, super partes”.
Come si inseriscono le nuove categorizzazioni previste nel ddl Zan come i non-binary nel contesto dell’ordinamento già vigente? “Questo è davvero uno dei punti delicati della vicenda – risponde Luciani – Ci sono dei problemi di tecnica normativa che vanno risolti e che allo stato attuale non lo sono ancora del tutto. Ma purtroppo c’è chi pensa che mettere in luce alcune questioni di costruzione del dettato normativo significhi volerlo sabotare. Il problema non è questo, perché ragionare sul come è ragionare da giuristi e nel ddl Zan c’è un problema di determinatezza delle prescrizioni che non è indifferente: abbiamo – spiega – un elenco molto dettagliato di discriminazioni ritenute illegittime, ma sono indicate sulla base di alcune categorie di concetti indeterminati che soprattutto quando si ha a che fare con il diritto penale bisognerebbe evitare”.
Tra questi concetti indeterminati giuridicamente il non-binary apre secondo lei ad un problema di coordinamento con la Costituzione? “Aiuta qui la giurisprudenza costituzionale che ha ammesso la possibilità di cambiamenti di sesso anche in difetto di operazioni chirurgiche – replica il giurista – Quindi il cambiamento anche solo delle risultanze anagrafiche anche solo sulla base anche di un accertamento della serietà delle motivazioni e condizioni. Penso sia questa la linea guida della lettura della Costituzione: che si ammettono e si ampliano le possibilità di identificazione, ma richiede con serietà di volontà e di accertamento”. Ma l’autopercezione può essere sufficiente a definire un soggetto giuridico? “La giurisprudenza costituzionale non si è ancora posto questo problema, però ritengo che la giurisprudenza precedente sul cambio di sesso soltanto anagrafico possa essere significativamente utilizzata. Perché punta alla serietà dell’accertamento e del convincimento del riscontro. Del resto – rileva Luciani – il ddl Zan parla anche di sesso anagrafico, non a caso solo per questo”.
La Costituzione, all’articolo 51, parla di cittadini ‘dell’uno e dell’altro sesso’, cioè si colloca in una prospettiva binaria. Se il problema è allargare questa platea anche a soggetti che hanno una identità di genere non riconducibile a questo schema binario, i non-binary, si pone un problema di coordinamento con la Costituzione? “La Carta non contempla in una specifica norma la figura delle persone non-binary, con una norma singolare. Però – rimarca Luciani – poiché in Costituzione, all’articolo 3, sono riconosciuti il principio di eguaglianza e il diritto allo sviluppo della propria personalità, articolo 3, è chiaro che la Costituzione assicura e tutela a visioni del se’ che non sono limitate a modellate su quelle tradizionali. Una tutela che, peraltro, può limitarsi a essere anti-discriminatoria”.
Ma la pari dignità delle persone, intesa nel senso del modo in cui ciascuno costruisce la propria identità di fronte agli altri, non è già tutelata dal nostro ordinamento dall’articolo 3? “Il principio dell’eguaglianza vale per tutti i cittadini – ricorda il costituzionalista – e la Costituzione non consente discriminazioni. Poi, certo, alcune previsioni costituzionali sono costruite sulla base di alcuni presupposti tradizionali (pensiamo all’articolo 29 e alla famiglia come società naturale fondata sul matrimonio). Ed è chiaro che le costituzioni non possono prevedere tutte le molteplici fattispecie dei casi della vita e regolano i casi più comuni. Ma il principio di eguaglianza come principio di non discriminazione. E questo – conclude – c’è già in Costituzione. E va applicato”. (di Roberta Lanzara)