Cellule ‘tartaruga’ anticamera del diabete di tipo 2. E’ quanto, in sintesi, hanno scoperto ricercatori della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs – Università Cattolica che hanno seguire da vicino la traiettoria del diabete di tipo 2, per comprendere quale sia il fattore ‘X’ alla base della sua comparsa. Lo studio, pubblicato sul ‘Journal of clinical investigation’ (Jci) ha infatti dimostrato che i pazienti che hanno un’alterazione nella prima fase di secrezione insulinica (pazienti con cellule ‘tartaruga’), vanno incontro alla comparsa di diabete di tipo 2. Chi ha invece cellule produttrici di insulina ‘lepre’, anche dopo l’asportazione di metà pancreas, non diventa diabetico.
La ricerca, che ha permesso di individuare questo difetto ‘chiave’ per lo sviluppo del diabete di tipo 2, è frutto della collaborazione tra il gruppo guidato da Andrea Giaccari, responsabile del Centro per le malattie endocrine e metaboliche della Fondazione Policlinico Gemelli e professore associato di Endocrinologia all’università Cattolica, campus di Roma, e quello guidato da Sergio Alfieri, direttore del Centro chirurgico del pancreas del Gemelli, e ordinario di Chirurgia generale alla Cattolica.
In particolare – riferisce una nota – lo studio dimostrato che per lo sviluppo del diabete di tipo 2 è molto più importante una cattiva funzionalità delle cellule beta del pancreas (quelle che producono insulina), che non un’improvvisa riduzione del loro numero, come quella che si determina a seguito di un intervento di rimozione parziale del pancreas (pancreasectomia parziale), che dimezza il patrimonio di cellule beta. E la disfunzione che può determinare la comparsa di diabete è una rallentata secrezione di insulina in risposta all’aumento della glicemia da parte di cellule beta ‘tartaruga’, quella che gli esperti chiamano alterazione della prima fase di secrezione insulinica.
“Nella storia naturale della comparsa del diabete di tipo 2 insulino-resistenza e deficit di secrezione di insulina si modificano continuamente nel tempo – spiega il primo autore dello studio, Teresa Mezza, ricercatrice in Endocrinologia, Uoc Endocrinologia e diabetologia del Gemelli diretta da Alfredo Pontecorvi – ed è impossibile capire quale delle due variabili sia più importante. Con l’intervento chirurgico modifichiamo sperimentalmente solo una delle due variabili, nello stesso identico modo in tutti i pazienti. Con un intervento di pancreasectomia parziale, in termini di evoluzione della malattia diabetica, è un po’ come fare in due mesi quello che la natura fa nell’arco 20 anni”.
Gli interventi chirurgici stanno insegnando molto sulla genesi del diabete; questo studio dimostra che, anche asportando mezzo pancreas a un paziente che non ha insulino-resistenza (cioè non è sovrappeso/obeso), né deficit di secrezione di insulina, quel soggetto non diventerà diabetico. Ai fini del mantenimento di una buona glicemia dunque, non conta quanto pancreas viene rimosso, ma che quello che resta funzioni bene. “L’innovatività di questo filone di ricerca – spiega Andrea Giaccari, autore senior dello studio – risiede soprattutto nel non studiare persone che hanno già il diabete, ma persone che sono a rischio di svilupparlo, confrontando dati in vitro e in vivo e cercando di capirne i meccanismi”.
E la pandemia di obesità che affligge il mondo – conclude la nota – è un grande ‘rivelatore’ dei soggetti portatori di queste cellule dai riflessi ‘lenti’, perché l’obesità mette in campo un altro importante fattore di rischio per il diabete di tipo 2, l’insulino-resistenza, cioè l’incapacità di tessuti e organi bersaglio dell’insulina di rispondere ai comandi di questo ormone, per superare la quale le cellule beta devono produrre sempre più insulina.