“In Italia, dove le strutture sanitarie ci sono, i medici ci sono e ci sono degli ottimi clinici, mi si deve spiegare perché la mortalità per Covid-19 è così alta”. L’invito ad avviare una riflessione su questo punto arriva da Guido Rasi, ex direttore esecutivo dell’Agenzia del farmaco Ema, oggi consulente del commissario per l’emergenza Coronavirus e direttore scientifico del provider di educazione continua in medicina Sanità In-Formazione, gruppo Consulcesi. “Qualcosa non deve aver funzionato in termini di standardizzazione delle cure – osserva – perché non è possibile che si muoia così tanto”.
L’esperto, microbiologo ordinario all’università di Roma Tor Vergata, avanza due ipotesi. Il fenomeno probabilmente “si può spiegare in due modi”, analizza in un’intervista all’Adnkronos Salute. Primo, ricorda, “l’errore drammatico commesso nella fase iniziale della campagna di vaccinazione, nel target della popolazione” immunizzata che spesso in alcune aree d’Italia non è stato strategico: in certi casi “i vaccini non sono stati concentrati sulle fasce di popolazione più a rischio, elemento ancora più grave considerando che di vaccini ce n’erano pochi”.
Secondo fattore indicato da Rasi: “Sicuramente ci sono da rivedere gli standard di cura, anche domiciliari. Perché probabilmente – avverte – l’approccio tachipirina e vigile attesa è un po’ troppo minimalista”.
La decisione Ue, annunciata dal commissario al Mercato interno Thierry Breton, di non rinnovare l’ordine di vaccini anti-Covid di AstraZeneca dopo la scadenza del contatto vigente “non riguarda la sicurezza del prodotto, ma le difficoltà di produzione incontrate, le difficoltà nelle consegne e il fatto che c’è un’azione legale in atto. In questo senso è abbastanza comprensibile” a detta di Guido Rasi, ex direttore esecutivo dell’Agenzia europea del farmaco Ema. Che sulle età alle quali destinare lo ‘scudo’ anglo-svedese, oggi in Italia raccomandato in via preferenziale negli over 60, precisa che “potenzialmente l’utilizzo riguarda tutta la popolazione dai 18 anni in su, avendo però bene in mente le indicazioni dell’Ema”.
L’ente regolatorio Ue, ricorda infatti l’esperto, oggi consulente del commissario per l’emergenza coronavirus e direttore scientifico del provider di educazione continua in medicina Sanità In-Formazione, gruppo Consulcesi, “ha preparato delle tabelle molto chiare, definendo lo scenario in cui è massimo il rapporto rischio-beneficio” del vaccino Vaxzevria*: cresce con l’aumentare dell’età e a determinati livelli di diffusione del virus. Quindi il vaccino Covid-19 di AstraZeneca “potenzialmente si può usare su tutta la popolazione dai 18 anni in su – puntualizza in un’intervista all’Adnkronos Salute l’esperto, microbiologo all’università di Roma Tor Vergata – ma ricordando sempre i 4 parametri dell’Ema”, sulla base dei quali tarare progressivamente la strategia: “Disponibilità dei vaccini, andamento della pandemia, capienza ospedaliera e numero dei già vaccinati”.
“Per ogni dose di vaccino anti-Covid venduta a un Paese ricco, metterne due a disposizione di un Paese povero”. Questa potrebbe essere “una delle possibili soluzioni” per garantire in tutto il mondo un equo accesso all’immunizzazione contro il virus pandemico, secondo Guido Rasi. L’esperto, microbiologo ordinario all’università di Roma Tor Vergata, lancia la proposta in un’intervista all’Adnkronos Salute: “E’ un esempio fra tanti”, premette. Ma un’idea potrebbe essere quella di “imporre che, sui guadagni che hanno le case farmaceutiche detentrici delle attuali licenze sui vaccini Covid-19, ci sia una quota determinata e verificata di cui vada a beneficiare chi attualmente non può accedere a questi prodotti”. Perché “il problema non è il brevetto”, assicura l’ex numero uno dell’Ema. E sospendere i brevetti tout court “non è una cosa di fatto realizzabile”.
“Se venisse realizzata, limitatamente alla fase pandemica e ai vaccini per la pandemia – precisa – sarebbe anche una buona cosa, a condizione però di un accordo chiave per il trasferimento tecnologico. Ma c’è un altro ragionamento importante da fare”, analizza Rasi, e riguarda la possibilità concreta che un nuovo produttore, senza un know-how consolidato, riesca effettivamente a garantire in tempi utili la qualità indispensabile per un prodotto hi-tech come i vaccini di cui si parla.
Formule come gli open day vaccinali, durante i quali offrire lo ‘scudo’ anti-Covid con schemi diversi rispetto a quelli seguiti finora, e con un’attenzione particolare rivolta agli adolescenti. Rasi immagina che “da giugno” l’Italia potrebbe entrare in una fase nuova della campagna di immunizzazione anti-Covid. “Penso a due strategie parallele”, spiega in un’intervista all’Adnkronos Salute l’esperto, microbiologo ordinario all’università di Roma Tor Vergata: “Mentre la corretta indicazione adesso è quella di procedere ordinatamente per fasce d’età”, guardando al prossimo futuro “si possono immaginare anche degli open day una volta immunizzata la popolazione a rischio, quindi nel momento in cui anche la fascia 60-69 anni sarà stata messa in sicurezza o sarà ben avviata verso quel traguardo”. Se finora dunque la campagna si è svolta fondamentalmente su prenotazione, “da quel momento si potrà pensare a strategie come gli open day”.
Un mese, quello di giugno, indicato da Rasi non a caso. Per allora, infatti, si prevede che vi sarà un vaccino approvato anche per i teenager. Se oggi al di sotto dei 16 anni non ci sono prodotti autorizzati contro Covid-19, nei prossimi mesi potrebbe arrivare un ok europeo a Pfizer/BioNTech anche nei 12-15enni. E l’ex numero uno dell’Ema invita a pianificare adesso: “Un ragionamento assolutamente strategico sarà quello della popolazione pediatrica, su cui sarà bene iniziare a breve una riflessione strategica. I 12-18enni saranno una popolazione chiave”, assicura Rasi.
Addio Rt? “In uno scenario che cambia ogni 15 giorni, anche per effetto delle vaccinazioni, diventa logico a un certo punto rivedere i parametri” indicatori del rischio nel monitoraggio dell’andamento di Covid in Italia. “E’ giusto rivedere i parametri in questa fase della pandemia – precisa Rasi – per un motivo molto semplice”, e cioè perché “il numero degli infettati in un’unità di tempo non produce più gli effetti negativi che produceva prima” dell’implementazione della campagna vaccinale. “Grazie all’effetto del vaccino – ragiona l’esperto, microbiologo ordinario all’università di Roma Tor Vergata – ci sarà sicuramente una forbice che si allarga tra il numero delle infezioni” da Sars-CoV-2 “e gli effetti severi della malattia” Covid-19. “Ci sarà un calo delle ospedalizzazioni e della mortalità – puntualizza Rasi – mentre non è detto che ci sia un calo delle infezioni leggere. Quindi il numero di positività di per sé è uno dei parametri, ma potrebbe dover essere rivisto”.