Parte oggi ufficialmente, con una cerimonia inaugurale a Strasburgo, in Francia, dove ha sede il Parlamento Europeo, la Conferenza sul Futuro dell’Europa. In realtà gli incontri e i dibattiti sui vari temi (ambiente e clima, salute, economia e lavoro, eccetera) si svolgono già da qualche tempo (l’agenda è consultabile sulla piattaforma multilingue futureeu.europa.eu).
All’inaugurazione, che è stata in forse fino a venerdì, quando è stato trovato un accordo informale, partecipano il presidente del Parlamento, David Sassoli, il presidente francese Emmanuel Macron, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e il primo ministro portoghese Antonio Costa per il Consiglio Ue.
L’inaugurazione in presenza nella città alsaziana è anche una riaffermazione del ruolo di quest’ultima come sede Ue, azzerato dalla pandemia di Covid-19 (da febbraio 2020 non si sono più tenute plenarie a Strasburgo, contrariamente a quanto prevedono i trattati). La Conferenza è, nella sua essenza, un tentativo di dimostrare che l’Ue è capace di riformarsi non solo attraverso le crisi, come è stato finora, ma anche in assenza di una forte pressione esterna. Come dice il capogruppo del Ppe, Manfred Weber, “dopo 10 anni di gestione delle crisi, in Europa dobbiamo finalmente riprendere il controllo dell’agenda”.
Finora non è stato così: la crisi migratoria del 2015 ha prodotto un significativo rafforzamento di Frontex e un programma di ricollocamento dei richiedenti asilo (applicato solo in parte), ma poi i flussi sono calati e a tutt’oggi, sei anni dopo, la riforma del sistema Ue di asilo giace irrisolta a causa delle divisioni degli Stati membri, malgrado gli sforzi della Commissione.
Anche l’assetto istituzionale dell’Eurozona, malgrado la crisi finanziaria del 2008-2009 e quella susseguente del debito, resta tuttora incompleto: una volta passata la crisi, che ha prodotto il Meccanismo Europeo di Stabilità, è calata la pressione e l’Unione bancaria, per esempio, manca ancora di tasselli fondamentali come l’assicurazione comune dei depositi.
Pure Next Generation Eu, il piano da 750 mld di euro per la trasformazione green e digitale dell’economia Ue, che introduce di fatto gli eurobond (un tabù fino all’anno scorso), è arrivato solo di fronte alla crisi economica più grave del Dopoguerra.
La Germania si è decisa a sostenerlo, come ha ricordato il segretario del Pd Enrico Letta, solo quando i Ceo delle grandi case automobilistiche hanno detto ad Angela Merkel che, senza l’industria manifatturiera del Nord Italia, non ci sarebbero più state le Volkswagen, le Mercedes, le Bmw. Le hanno spiegato, ha ricordato Letta, che “Mercedes, Volkswagen e Audi, le nostre bandiere, se perdiamo l’Italia noi non le facciamo più, perché un terzo della Mercedes si fa oggi tra Lombardia, Emilia Romagna e Veneto”.
Persino il patto di stabilità e le annesse regole sui bilanci, che avevano già da tempo mostrato la corda riducendo ai minimi termini la reputazione delle istituzioni Ue in un Paese fondatore come l’Italia, sono state messe in stand by dalla sera alla mattina nel marzo scorso, proprio per via della pandemia. E anche le regole Ue sugli aiuti di Stato, uno dei campi in cui la Commissione esercita un potere pressoché incontrastato, sono state sospese e sostituite da un quadro temporaneo assai diverso, reso indispensabile dal rischio concreto di fallimenti aziendali a catena.
Tutti grandi cambiamenti, questi, che sono avvenuti solo in presenza della pressione esterna di una crisi. La Conferenza è un tentativo riformatore ‘endogeno’, per così dire, non indotto dall’esterno. Non va confusa con la Convenzione sul Futuro dell’Europa, istituita con la dichiarazione di Laeken, i giardini reali di Bruxelles, nel 2001, che chiuse i suoi lavori proponendo il trattato che adottava la Costituzione Europea.
Costituzione Europea che venne poi abbandonata nel 2007, quando la ratifica venne bocciata per referendum in Francia e Olanda, anche se diverse innovazioni previste dalla Costituzione sono poi finite nel Trattato di Lisbona del 2009. La Conferenza non punta ad approvare una nuova Costituzione europea, ma si configura come un ibrido tra negoziato interistituzionale e dialogo con i cittadini, per elaborare idee su come far progredire l’integrazione europea.
In verità, ricordano Nicolai von Ondarza e Minna Alander della Stiftung Wissenschaft und Politik di Berlino, le istituzioni non concordano tra loro neppure su quale dovrebbe essere il risultato della Conferenza. Quale sarà il prodotto di questo esercizio “non è ancora chiaro”, sottolineano.
Mentre il Parlamento Europeo spinge perché tutte le istituzioni si impegnino ad attuare le raccomandazioni della Conferenza nella massima misura possibile, il Consiglio, l’istituzione che riunisce gli Stati membri, vorrebbe che la Conferenza si limitasse a redigere un rapporto destinato al Consiglio Europeo, il tavolo dei capi di Stato e di governo.
In questo caso, osservano Ondarza e Alander, “la Conferenza correrebbe il rischio, come i Dialoghi Ue con i cittadini del 2018, di non produrre alcuna riforma politicamente significativa”. Il livello di disaccordo tra le istituzioni Ue, in particolare tra Parlamento e Consiglio, è tale che, fino a venerdì, ancora non era sicuro che la conferenza inaugurale di Strasburgo si sarebbe tenuta.
Parlamento e Consiglio, con la Commissione in mezzo, litigano sulla Conferenza da oltre un anno. Il progetto è stato lanciato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen nel 2019, principalmente per riformare il principio degli Spitzenkandidaten, cui i leader Ue (e la mancanza di accordo nel Parlamento) hanno dato il colpo di grazia con un Consiglio Europeo interminabile, nel corso del quale gli Spitzenkandidaten del Ppe (Manfred Weber), dei Socialisti (Frans Timmermans) e dei Liberali (Margrethe Vestager) vennero impallinati l’uno dopo l’altro.
Questa promessa elettorale, rimarcano von Ondarza e Alander, mirava a “compensare il Parlamento Europeo e a persuadere gli eurodeputati ad accettare il fatto che, con l’elezione di von der Leyen, il Consiglio Europeo aveva prevalso sul Parlamento, per quanto riguarda il principio degli Spitzenkandidaten”.
Il Parlamento, che già aveva eletto presidente David Sassoli ignorando il diktat del Consiglio Europeo che si era spinto ad indicare come presidente dell’Aula il bulgaro Sergej Stanishev, si vendicò poi approvando la nomina di von der Leyen con pochissimi voti di scarto (furono decisivi i Cinquestelle) e bocciò la candidata del partito di Emmanuel Macron, Sylvie Goulard, alla carica di commissaria all”Industria.
Lo Spitzenkandidat è il candidato scelto dal partito europeo come presidente della Commissione in pectore, cosa che rafforza il legame con il mandato elettorale ricevuto dai cittadini. Gli Stati nazionali, in linea generale, preferiscono non avere sopra la testa istituzioni europee eccessivamente assertive.
La Conferenza avrebbe dovuto essere lanciata nel maggio 2020, per durare due anni, fino alla metà del 2022. Nel frattempo è arrivata la pandemia di Covid-19, che ha bloccato la Conferenza, insieme al fatto che le istituzioni Ue hanno impiegato molti mesi per mettersi d’accordo sulla governance. Il Parlamento spingeva per una struttura tripartita, ma sotto la leadership dell’Aula; il Consiglio puntava a nominare presidente un ex capo di Stato o di governo.
Alla fine si è optato per una presidenza tripartita, divisa tra Consiglio, Parlamento e Commissione, con i tre presidenti, e un comitato esecutivo con i rappresentanti di ciascuna istituzione. Il compromesso sulla guida della Conferenza complica la struttura di vertice e ne fa qualcosa che assomiglia ad un “trilogo istituzionalizzato”, osservano von Ondarza e Alander (il trilogo è il negoziato legislativo interistituzionale sui provvedimenti legislativi tra Parlamento e Consiglio, con la Commissione come mediatrice).
La Conferenza dovrebbe durare fino a metà 2022, come originariamente previsto, ma partendo con un anno di ritardo, cosa che ne dimezza la durata. Con la pandemia pare essere cambiato anche il focus, dato che von der Leyen ha citato ultimamente la Conferenza soprattutto in relazione alla necessità di creare l’Europa della salute. La Covid-19 ha messo in drammatica evidenza il deficit di competenze che i trattati attribuiscono all’Ue in materia sanitaria. In questo campo, la Commissione ha pochissimi poteri.
La politica sanitaria resta saldamente in mano agli Stati nazionali, cosa che in una pandemia costituisce un problema oggettivo, come è evidente dalla Babele di misure sanitarie varie, quarantene e test che ha, se non bloccato, considerevolmente ridotto la libera circolazione in Europa per tutto l’autunno-inverno-primavera 2020-21.
Per non parlare della “vergogna”, come l’ha definita il commissario all’Economia Paolo Gentiloni, delle chiusure unilaterali delle frontiere nel marzo 2020, che impedirono il passaggio anche di materiali salvavita come il midollo osseo. E dei problemi che hanno caratterizzato l’avvio della campagna vaccinale in Europa, tuttora in ritardo rispetto agli Usa e, soprattutto, al Regno Unito, che ha appena abbandonato l’Ue con la Brexit.
E’ un fatto che, per raggiungere risultati significativi in questo campo, come in altri, occorrerebbe modificare i trattati, che attribuiscono agli Stati competenze pressoché esclusive in campo sanitario. Non tutti sono d’accordo. Anzi, come spiegano i ricercatori della Swp, è probabile che una maggioranza di Stati membri si opporrebbe ad una modifica dei trattati.
Molti governi nazionali, spiegano von Ondarza e Alassen, hanno “riserve” sulla Conferenza. Hanno prevalso i Paesi “più scettici” e l’obiettivo principale del Consiglio è stato quello di “limitare la portata delle attività della Conferenza”. In linea con l’articolo 48 del Tue, “cambiamenti ai trattati dovrebbero essere esclusi fin dall’inizio”.
Per von Ondarza e Alassen, se la Conferenza finisse per non produrre alcuna riforma significativa, sarebbe un problema. Al pari delle difficoltà di rapportarsi direttamente con i cittadini che hanno le istituzioni Ue: “Organizzare una Conferenza sul Futuro dell’Europa con molta fanfara, promettendo un elaborato meccanismo per coinvolgere i cittadini, e non prendere sul serio alcuna proposta, alla fine non farebbe altro che confermare quanto è grande la distanza tra Bruxelles e i cittadini Ue”, osservano.
Un esito simile, con proposte lanciate e lasciate cadere “farebbe più male che bene alla legittimazione democratica dell’Ue”. Invece di rafforzare l’Unione in vista delle prossime crisi, l’Europa “continuerebbe ad essere capace di riformarsi solo quando si presentano situazioni di pericolo esistenziale. Nel lungo periodo, queste reazioni guidate dalle crisi rafforzano giustamente i dubbi sulla capacità di agire dell’Ue”.
Per von Ondarza e Alassen, anche se sono “giustificate” le preoccupazioni di chi afferma che cambiare i trattati, frutto di faticosi compromessi tra gli Stati, equivarrebbe ad aprire il vaso di Pandora, la Conferenza offre l’occasione, se ben sfruttata, di “dare una nuova spinta al processo di riforme dell’Ue, che è bloccato da anni”. E per spezzare lo stallo, serve “una leadership capace di legare le varie tendenze politiche in un compromesso fattibile sulle riforme”.
Il presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, ci crede e sottolinea spesso che non bisogna avere “tabù”, perché cambiamenti che un anno e mezzo fa sarebbero stati inconcepibili si sono verificati dalla sera alla mattina, sotto i colpi della pandemia.
Dall’altra parte, se alla guida del Consiglio Ue oggi c’è il presidente portoghese Antonio Costa, socialista, con cui Sassoli ha ottimi rapporti, la prossima presidenza tocca alla Slovenia di Janez Jansa, dal primo luglio. Jansa, uno dei padri dell’indipendenza slovena, è un politico nazionalista, dell’ala destra del Ppe, che si è distinto di recente per l’appoggio all’Ungheria e alla Polonia e anche per aver attaccato pubblicamente alcuni giornalisti sloveni.
Dopo Lubiana, toccherà alla Francia di Emmanuel Macron, nella prima metà del 2022. Si vedrà se la Conferenza sarà in grado di produrre risultati concreti oppure no. Quello che appare sicuro è che l’istituzione che più si impegnerà perché l’esercizio produca proposte ed esiti concreti sarà il Parlamento Europeo.