È morta, sabato 2 novembre, Brittany Maynard, la ragazza americana di 29 anni colpita da un cancro terminale, che qualche settimana fa aveva annunciato in un video di voler mettere fine alla sua vita. Sembrava ci avesse ripensato. Il 30 ottobre aveva fatto credere inizialmente di aver cambiato idea, affermando di sentirsi ancora abbastanza bene, e di provare ancora gioia con la sua famiglia e i suoi amici, ma in seguito aveva aggiunto che si trattava solo di un rinvio perché sentiva di peggiorare settimana dopo settimana.
Ieri la conferma della morte di Brittany dall’associazione che l’ha sostenuta che ha anche diffuso il suo addio: Addio a tutti i miei più cari amici e alla mia famiglia che amo. Oggi è il giorno che ho scelto per morire con dignità alla luce della mia malattia terminale, questo terribile cancro al cervello che si è già preso così tanto di me…e che avrebbe continuato a farlo.
Il video pubblicato sul proprio sito (thebrittanyfund.org), in cui annunciava l’intenzione di suicidarsi, è subito diventato virale, commuovendo l’intera America. Ad aprile aveva scoperto di avere un cancro incurabile e che le rimanevano al massimo sei mesi di vita. Così, Brittany si era trasferita in Oregon con genitori e marito, sposato poco prima della diagnosi, proprio perché l’Oregon è uno dei cinque Stati americani dove il suicidio assistito è legalizzato. La donna, nonostante gli effetti collaterali dei farmaci che le gonfiavano il corpo e volto, aveva accettato di raccontare la sua storia in televisione, spiegando la sua scelta di “morire dignitosamente”, scatenando un acceso dibattito sull’eutanasia.
Sul caso di Brittany, il Sir (Servizio informazione religiosa), riporta l’intervista a Salvino Leone, medico ginecologo e bioeticista, docente di Teologia morale presso la Facoltà Teologica di Sicilia. “Credo che, in questi casi, si tratti di situazioni in cui è difficile formulare giudizi di condanna o di assoluzione, cioè entrare subito nel merito normativo di un comportamento. Di fronte a scelte così delicate sul piano etico ed esistenziale, scelte che coinvolgono la persona col suo dolore, con la sua visione del mondo, con la sua fede o con l’assenza di essa, bisogna essere molto prudenti prima di formulare giudizi più o meno avventati, anche perché non conosciamo il travaglio interiore che, in una situazione di sofferenza così profonda, può portare a questa decisione estrema”.
Per Brittany Maynard prosegue il bioeticista morire con dignità evidentemente significava morire senza eccessive sofferenze ineliminabili, quando ancora si ha una lucidità e delle condizioni psico-fisiche accettabili. In fondo anche per la Chiesa significa questo, ma con un limite invalicabile, l’intervento diretto soppressivo della vita umana. Tuttavia nella dignità del morire includerei anche il rispetto (diverso dalla condivisione) per scelte così tragiche, senza giudizi affrettati e senza condanne, perché se qualcuno di noi si dovesse trovare malauguratamente nella stessa situazione, non so poi di fatto, anche in un orizzonte di fede cristiana, quale decisione prenderebbe.”