Gli infortuni sul lavoro costituiscono una problematica che caratterizza da sempre l’organizzazione e l’evoluzione del sistema di produzione e il mercato del lavoro nazionale, come quello internazionale. Gli incidenti, in alcuni casi anche mortali, sono spesso il risultato di un’organizzazione del lavoro per nulla coerente con quanto previsto dalla legislazione nazionale, con ritmi di impiego elevati e con misure di sicurezza e prudenza scarsamente adeguate o addirittura non considerate. E’ quanto si legge nella Riflessione nazionale sugli infortuni sul lavoro che l’Eurispes ha realizzato per Adnkronos/Labitalia in vista della Giornata mondiale salute e sicurezza sul lavoro.
Anche oggi i luoghi di lavoro confermano vaste aree di criticità e di insalubrità, soprattutto per quanto riguarda le occupazioni usuranti (per quanto si stia diffondendo un’ampia letteratura sui rischi ambientali insiti anche in un ufficio, dietro a uno sportello o a un contatto con l’utenza).
L’attuale condizione sembrerebbe offrire strumenti aggiuntivi per esorcizzare il rischio di infortunio della forza lavoro: le innovazioni tecnologiche rendono le mansioni meno usuranti, l’aumentata scolarizzazione educa a una maggiore consapevolezza del rischio di incidenti sul lavoro, le politiche governative inducono alla prevenzione, persino la ‘retorica istituzionale’ sulle morti bianche cattura attenzione mediatica. Pensare che le caratteristiche del capitalismo maturo si contrappongano automaticamente ai rischi dell’infortunistica sul lavoro sarebbe, però, un imperdonabile errore: la necessità della produzione just in time, l’adeguamento pedissequo alla domanda e la velocizzazione dei ritmi di produzione comportano una ‘continua pressione competitiva’ che si ritorce sulla salubrità dei posti di lavoro.
Punto di riferimento per individuare la diffusione, persistenza e intensità degli infortuni sul lavoro nel 2020 (al 31 dicembre), condizionati certamente dall’avvento della pandemia da Covid-19, è l’analisi condotta dalla Consulenza statistico attuariale dell’Istituto sugli Open data dell’Inail: si conferma l’impatto dell’emergenza coronavirus sull’andamento infortunistico registrato nel Paese nel corso del 2020. Complessivamente, sono 554.340 gli infortuni sul lavoro denunciati all’Inail nel 2020, in calo del 13,6% rispetto ai 641.638 dell’anno precedente. Una diminuzione che costituisce solo in parte una nota positiva rispetto ad un fenomeno che prevede a volte tragedie e drammi familiari. Il calo delle denunce registrato, infatti, è risultato pari al 13,6% a fronte però di 1.270 casi di incidenti mortali confermati durante l’anno, ossia 181 in più rispetto ai 1.089 del 2019. Si tratta di un aumento annuale del 16,6% rispetto all’anno precedente. Nel merito del dato complessivo di 1.270 decessi per lavoro, si è registrata una riduzione di quasi un terzo dei decessi in itinere, passando dai 306 a 214 casi, ossia una diminuzione del 30,1% rispetto all’anno precedente, mentre quelli avvenuti in occasione di lavoro sono drammaticamente aumentati di oltre un terzo (+34,9%) passando da 783 a 1.056. Questo dato conferma l’urgenza di un impegno di più alto livello da parte del sistema istituzionale per garantire maggiore sicurezza sul lavoro nelle sue varie forme.
Quasi un quarto delle denunce registrate e circa un terzo dei decessi sono riconducibili al Covid e ai suoi effetti che possono essere inquadrati, per l’aspetto assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro, equiparandone la causa virulenta a quella violenta tipica degli eventi infortunistici, come avviene anche per altre affezioni morbose (Aids, malaria, tubercolosi, tetano, epatiti virali, ecc.). Le infezioni da Covid-19 avvenute nell’ambiente di lavoro o a causa dello svolgimento dell’attività lavorativa, sono tutelate a tutti gli effetti come infortuni sul lavoro. A precisarlo è stato lo stesso Inail con la circolare numero 13 del 3 aprile 2020.
L’ambito della tutela Inail riguarda, nell’attuale emergenza sanitaria, innanzitutto gli operatori sanitari esposti a un elevato rischio di contagio ma anche altre categorie in costante contatto con l’utenza, come i lavoratori impiegati in front-office e alla cassa, gli addetti alle vendite/banconisti, il personale non sanitario degli ospedali con mansioni tecniche, di supporto, di pulizia e gli operatori del trasporto infermi. La tutela assicurativa si estende anche ai casi in cui l’identificazione delle precise cause e modalità lavorative del contagio si presenti più difficile.
Sul piano prettamente statistico, a influenzare la flessione degli infortuni denunciati è stato l’andamento registrato nei primi nove mesi del 2020 (-21,6% rispetto all’analogo periodo del 2019), mentre nell’ultimo trimestre, sempre del 2020, le denunce sono aumentate del 9,1% rispetto all’analogo trimestre dell’anno precedente. I dati rilevati al 31 dicembre di ciascun anno evidenziano, in particolare, un decremento sia dei casi avvenuti in occasione di lavoro, passati da 540.733 a 492.123 (-9%), sia di quelli in itinere, che registrano un calo percentuale più sostenuto, da 100.905 a 62.217 (-38,3%). Se per gli infortuni in itinere il segno è rimasto negativo sia nei primi tre trimestri (-37,1%) che nell’ultimo (-42,2%), per quelli in occasione di lavoro si è passati, invece, dal -18,6% del periodo gennaio-settembre al +18% di quello ottobre-dicembre.
Tra i settori economici della gestione industria e servizi, quello della sanità e assistenza sociale si distingue per il forte incremento delle denunce di infortunio in occasione di lavoro, che in quasi i tre quarti dei casi hanno riguardato il contagio da coronavirus. L’aumento è del 206% su base annua (dai circa 27.500 casi del 2019 agli oltre 84mila del 2020), con punte superiori al 750% a novembre e tra il 400% e il 500% a marzo, aprile, ottobre e dicembre, nel confronto con i mesi dell’anno precedente. Solo a gennaio e nel periodo estivo sono stati rilevati decrementi compresi in un intervallo tra il 5% e il 17%.
Dall’analisi territoriale, nel 2020, emerge un calo degli infortuni denunciati in tutte le aree del Paese. Questa flessione risulta decisamente più contenuta nel Nord-Ovest (-4,1%) e più accentuata al Centro (-19,3%), nelle Isole (-18,8%), al Sud (-17,3%) e nel Nord-Est (-16,5%). Le Regioni con il minor decremento annuale sono la Lombardia (-6,3%), la Campania (-6,8%) e la Liguria (-8,2%), mentre quelle con decrementi maggiori sono la Calabria (-27,7%), l’Umbria (-25,2%) e il Molise (-24,8%). Gli unici incrementi rispetto al 2019 sono quelli rilevati in Valle d’Aosta (+16,7%), Piemonte (+2,9%) e Provincia autonoma di Trento (+0,9%), mentre concentrando l’attenzione sull’ultimo trimestre del 2020 spiccano gli incrementi di Valle d’Aosta (+85,6%), Campania (+56,8%) e Piemonte (+43,6%).
La flessione che emerge dal confronto del 2019 e del 2020 è da ricondurre esclusivamente alla componente maschile, che registra un calo del 22,1% (da 411.773 a 320.609 denunce), mentre quella femminile presenta un +1,7% (da 229.865 a 233.731). E’ probabile che questo dato nasconda diffusi casi di infortunio non denunciati da parte delle donne probabilmente a partire dalla maggiore precarietà occupazionale che caratterizza la loro storia professionale e lavorativa. Per i lavoratori il calo si è registrato in tutti i mesi del 2020, mentre per le lavoratrici i primi incrementi si erano già registrati a marzo (+23,8%) e ad aprile (+2,4%), amplificandosi negli ultimi tre mesi dell’anno (+45,2%).
T
ra gennaio e dicembre la diminuzione delle denunce ha interessato sia i lavoratori italiani (-14,3%), sia quelli comunitari (-4,5%) e non comunitari (-11,9%), con cali percentuali più sostenuti nel mese di maggio (rispettivamente -52%, -38% e -41%) e incrementi, invece, nel periodo ottobre-dicembre (+9,4%, +26% e +2,4%). Dall’analisi per classi di età emergono decrementi generalizzati (più contenuti per i lavoratori tra i 45-49 anni e 65-69 anni), a eccezione della fascia d’età 50-64 anni, che presenta un aumento, contenuto su base annua (+3,2%) e più consistente nell’ultimo trimestre (+39,9%).
Le denunce di malattia professionale protocollate dall’Inail nel 2020 sono state 45.023, 16.287 in meno rispetto al 2019 (-26,6%). A parte gli incrementi di febbraio (+17%) e agosto (+1%), a influenzare la flessione, che ha riguardato tutte le gestioni e l’intero territorio nazionale, è stato soprattutto il numero di denunce presentate ad aprile (-87%), maggio (-69%) e marzo (-40%). Seguono i mesi di giugno (-29%), novembre (-22%), luglio (-18%), ottobre (-16%) e dicembre (-14%), mentre settembre, al pari di gennaio, ha presentato un calo superiore al 5%.
Le prime cinque malattie professionali denunciate continuano a essere quelle legate al sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo (28.164 casi), del sistema nervoso (5.060), dell’orecchio (2.919), del sistema respiratorio (1.808) e dei tumori (1.584). Nel contesto delle malattie professionali e considerando la differenza di genere, emerge una flessione di 11.705 denunce di malattia professionale per i lavoratori, da 44.656 a 32.951 (-26,2%), e di 4.582 per le lavoratrici, da 16.654 a 12.072 (-27,5%).
Il decremento ha interessato sia le denunce dei lavoratori italiani (passate da 56.993 a 41.882, pari a un calo del 26,5%), sia quelle di comunitari (da 1.452 a 1.052, -27,5%) e non comunitari (da 2.865 a 2.089, -27,1%).
Le professioni più colpite da contagi Covid su lavoro sono quelle dell’ambito medico e sanitario. Al primo posto si sono registrate infatti le attività infermieristiche, seguite dalla categoria dei tecnici della salute. A seguire, gli operatori sociosanitari, i medici, gli operatori socio-assistenziali e il personale non qualificato nei servizi sanitari (ausiliario, portantino, barelliere). Tra le professioni non legate a tale ambito, il maggior numero di contagi di origine professionale si registra tra gli impiegati amministrativi, gli addetti ai servizi di pulizia, i conduttori di veicoli e i direttori e dirigenti amministrativi e sanitari.
Il periodo di emergenza da coronavirus può essere suddiviso in diverse fasi: quello proprio del lockdown, fino a maggio 2020 compreso; a seguire quello del post lockdown, da giugno a settembre 2020; e infine la seconda ondata, da ottobre 2020 a gennaio 2021, ancora in corso. Per l’insieme dei settori della sanità, assistenza sociale e amministrazione pubblica si nota una progressiva riduzione dell’incidenza delle denunce tra le prime due fasi e una risalita nella terza; in quest’ultima fase i numeri restano comunque inferiori rispetto a quelli della prima fase, probabilmente per una migliore gestione del rischio.
Per quanto riguarda gli altri settori la ripresa delle attività fa registrare numeri più alti nelle prime due fasi mentre una riduzione si nota nella terza. Può essere portato ad esempio il caso della ristorazione, passato dal 2,5% al 5,8% nelle prime due fasi per tornare poi al 2,4% nella terza. Andamento simile è stato quello dei trasporti. Tuttavia la diminuzione percentuale non deve essere letta come una diminuzione dei numeri assoluti ma come riduzione della porzione rispetto a tutti gli altri: anche in questo caso, infatti, l’aumento più netto è stato quello del settore della sanità.
Le lavoratrici sono le più colpite dai contagi professionali da Covid-19. Su 147.875 denunce pervenute all’Inail alla data del 31 gennaio del 2021, infatti, ben 102.942 provengono da donne che hanno subìto una qualche forma di contagio professionale, ossia circa 70 contagi professionali ogni 100, in termini relativi. Il dato è in controtendenza con quanto si osserva per il complesso degli infortuni sul lavoro, che colpiscono in prevalenza gli uomini (i casi femminili sono circa il 36%). Diversa la situazione tra le vittime sul lavoro: dei 461 decessi registrati al 31 gennaio 2021, 79 sono femminili ossia, in termini relativi, il 17,1% dei casi. Il dato degli infortuni mortali sul lavoro nel complesso rispecchia la prevalenza di vittime tra gli uomini rispetto alle donne (sotto il 10% la quota femminile). Tra le contagiate, il 43,6% ha oltre 49 anni, il 38,1% ha tra i 35 e i 49 anni e il 18,3% ha meno di 35 anni. L’età media è di 46 anni e quella mediana di 48 anni, ma col trascorrere dei mesi si sta tendenzialmente registrando un abbassamento dell’età media al contagio. L’età media al decesso è invece più elevata e pari a 56 anni per le donne, con nessuna deceduta nella classe di età più giovane delle under 35, mentre il 19% delle vittime ha tra i 35 e i 49 anni e l’81% ha dai 50 anni in su.
Sul territorio, gli infortuni si concentrano prevalentemente nelle regioni che hanno registrato il maggior numero di contagi nella popolazione. In particolare, la Lombardia raccoglie il 28,3% delle denunce femminili, seguita da Piemonte (15,4%), Veneto (11,1%) ed Emilia Romagna (8,5%). Le province col maggior numero di donne interessate da infortuni da Covid-19 sono Milano (10,5% dei casi nazionali), Torino (7,9%), Roma (4,1%), Varese, Brescia e Verona (tutte con il 2,9%). La Lombardia è anche la regione che registra il maggior numero di vittime femminili, ben il 39,2%, a seguire l’Emilia Romagna (15,2%) e il Piemonte (8,9%). In testa, tra le province, Milano (11,4%), Bergamo (10,1%) e Parma (7,6%). La stragrande maggioranza degli infortuni femminili da Covid-19 riguarda la gestione assicurativa dell’industria e servizi (98,3%). Più nel dettaglio, con riferimento ai casi codificati per attività economica, i settori più coinvolti sono quelli in prima linea nell’emergenza da Coronavirus, come la Sanità e assistenza sociale che con ospedali, case di cura e di riposo, istituti, cliniche, policlinici universitari e residenze per anziani e disabili, raccoglie il 71,7% di casi. A seguire l’amministrazione pubblica, che include anche gli organismi preposti alla sanità come le asl, con il 9,1% delle denunce.
Pur considerando la numerosità contenuta di decessi femminili è sempre la sanità e assistenza sociale il settore più colpito, con il 57,1% dei casi codificati. Sono i tecnici della salute, con il 42% dei casi codificati, a registrare il maggior numero di denunce: tra le figure professionali più colpite le infermiere (81,1% dei casi della categoria) e le fisioterapiste (5,8%). Segue la categoria delle operatrici socio-sanitarie, con il 22,4% dei casi, e, con l’8,9%, quella delle lavoratrici qualificate nei servizi personali e assimilati (in prima linea ci sono le operatrici socio-assistenziali che rappresentano il 78,4% dei casi). Il 6,3% dei casi riguarda, invece, i medici e il 5% le lavoratrici non qualificate nei servizi di istruzione e sanitari (di cui l’84,2% è rappresentato dalle ausiliarie ospedaliere e sanitarie). Tra le professioni non strettamente sanitarie, si rileva la categoria delle impiegate amministrative, con il 3,9% dei casi codificati. Per quanto riguarda, infine, i decessi femminili per Covid-19, la categoria più colpita è quella dei tecnici della salute, con un caso ogni quattro denunce: il 70% sono infermiere. Seguono le operatrici socio-sanitarie con il 14,1% dei casi e le operatrici socioassistenziali con il 12,8%.