La variante indiana? “Non è sconvolgente che ci siano varianti: è ciò che ci aspettavamo. Lo stesso virus che arrivò per primo in Italia era una variante di quello di Wuhan. Non c’è dunque da spaventarci, perché per ora i vaccini hanno dimostrato di proteggere da queste varianti e qualora ci fosse qualche sorpresa possiamo modificarli, come facciamo tutti gli anni con il virus dell’influenza”. Così all’Adnkronos Salute Massimo Clementi, direttore del Laboratorio di microbiologia e virologia dell’ospedale San Raffaele di Milano e docente dell’università Vita-Salute.
“Abbiamo per fortuna i vaccini a m-Rna – sottolinea – che in pochissimo tempo possono essere riarrangiati, questa è una grandissima evoluzione tecnologica che questa epidemia, con tutto il negativo che ha portato, ha fatto emergere: una tecnologia che è, e sarà, straordinaria”.
Clementi ricorda che “il virus ha un obiettivo: replicare” e che “una cellula infettata da un virus sviluppa 3mila nuovi virus, il 2-3% di questi, cioè da 60 a 90 hanno mutazioni: la maggior parte di esse sono insignificanti, ma ne capita una che ha successo. Moltiplicando questi numeri il numero delle varianti che si generano è altissimo”.