Alta tensione dopo l’ok al decreto riaperture. Le Regioni si sono sollevate in particolare su scuola e coprifuoco. Il rientro in massa in classe, previsto per il 26 aprile, è stato da subito argomento caldo. All’inizio infatti dovevano rientrare praticamente tutti in aula, poi pian piano è iniziato il balletto di percentuali, fino all’incidente tra governo e Regioni. “Uno studente su due tornerà in classe a partire da lunedì – garantisce però all’Adnkronos una fonte di governo ‘rigorista’ – le Regioni e gli enti locali possono derogare al massimo al 50%, mai al di sotto”.
Il premier Mario Draghi, nella conferenza stampa della settimana scorsa, aveva annunciato il rientro dei ragazzi a scuola in presenza, per l’ultimo mese di scuola, al 100%. Poi il muro delle Regioni, così quel 100% -per le superiori vero e proprio miraggio- è sceso al 60%, il minimo sindacale che i governatori potevano garantire, visti i problemi sul fronte trasporti e il rischio che i ritorni in classe diano nuova linfa ai contagi. Ieri, nel Cdm che ha votato il dl con l’astensione della Lega, la percentuale è salita al 70%, sollevando la rabbia dei governatori, con il leader delle Regioni, Massimiliano Fedriga, che ha denunciato una collaborazione “incrinata”: “In Consiglio dei ministri è stato cambiato un accordo siglato tra istituzioni e questo è un precedente molto grave, non credo sia mai successo”.
Così nel pomeriggio la ministra agli Affari regionali, Maria Stella Gelmini, è corsa ai ripari. “Sulla didattica in presenza – ha messo in chiaro – le Regioni avevano chiesto di partire dal 60% ed in questo senso avevamo raggiunto un accordo. Draghi ha chiesto di fare uno sforzo ulteriore, ha posto un obiettivo minimo più alto, per cercare di far tutti meglio, ogni giorno. Nel decreto ci sarà scritto il 70%: ma non metteremo a rischio nessuno. Se non sarà possibile assicurare queste quote, Regioni ed enti locali potranno derogare. Stiamo lavorando per trovare la quadra”.