Il confinamento in casa durante il periodo di lockdown più stretto, quello della primavera 2020, ha visto un cambiamento generalmente positivo nelle abitudini alimentari degli italiani, anche se in alcuni casi, soprattutto tra i giovani, la permanenza forzata a casa ha incoraggiato consumi meno salutari. E’ quanto emerge da due ricerche condotte dal Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (Is).
Gli studi sono stati condotti nell’ambito di due progetti che hanno esaminato gli effetti che la pandemia, al di là della patologia indotta dal coronavirus, ha avuto sulla vita e sulla salute di circa 1.500 partecipanti allo studio Moli-sani (Progetto Moli-Lock), ai quali si sono aggiunti 2.000 soggetti reclutati in un’indagine online lanciata a fine maggio 2020 in tutta Italia (Progetto Alt Riscovid-19). I due studi sono stati pubblicati, rispettivamente, sulle riviste International Journal of Food Science and Nutrition e Public Health Nutrition.
“Analizzando le abitudini a tavola – dice Simona Costanzo, epidemiologa Neuromed – abbiamo riscontrato che quasi il 40% delle persone ha avuto un miglioramento della propria alimentazione. In particolare, c’è stato un maggiore ricorso a cibi caratteristici della dieta mediterranea e, particolare non trascurabile, pur se prevedibile, una tendenza a comprare prodotti locali. Questo fenomeno ha riguardato soprattutto le fasce di età più avanzata. Un’altra caratteristica interessante è che le persone che hanno migliorato l’alimentazione hanno anche svolto più attività fisica e hanno perso peso”.
Per molti cittadini, in altri termini, il lockdown è stata l’occasione di fare più attenzione alla propria alimentazione e alla propria salute, ma con significative differenze generazionali. Un quadro che emerge anche dal secondo lavoro scientifico, che si è focalizzato soprattutto sul consumo di cibi cosiddetti ultra-processati, gli alimenti che vengono sottoposti a molteplici trattamenti, per lo più industriali, e che sono generalmente considerati meno salutari. Gli adulti, soprattutto i più anziani e quelli residenti nel sud Italia, ne hanno consumati meno. Discorso diverso per i giovani, che si sono lasciati andare a un consumo maggiore di snack, cibi pronti, dolciumi o bevande zuccherate.
“L’elemento più importante – dice Marialaura Bonaccio, primo autore dello studio su Public Health Nutrition – è che le scelte salutari si sono ‘raggruppate’, per così dire. Chi ha scelto di consumare meno cibi ultra-processati ha anche fatto più attività fisica e ha ridotto il suo peso”.
“Il lockdown – commenta Licia Iacoviello, Direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione del Neuromed e professore ordinario di Igiene all’Università dell’Insubria nella sede di Varese – ha messo a dura prova tutti i cittadini. Le lunghe ore passate a casa, la mancanza di tante attività, hanno avuto inevitabili ripercussioni sulle scelte alimentari. Alcuni hanno visto la situazione come un’occasione per stare attenti alla propria salute e anche per riscoprire maggiormente i cibi della nostra tradizione, un fattore favorito certamente dal tempo passato a casa. Per altri – sottolinea – soprattutto tra i giovani e tra chi aveva uno stile di vita non ottimale già prima della pandemia, il confinamento ha avuto un effetto diverso: come se avessero affrontato la situazione indulgendo verso cioccolata, dolci, snack e, in generale, cibi che danno soddisfazione immediata e richiedono meno impegno”.