Non solo Sangiovese. La Romagna del vino oggi si tinge di ‘giallo paglierino’ e ‘dorato’ e il binomio nazional-popolare con il rosso per eccellenza, evocato dalle intramontabili note del compianto Raoul Casadei, lascia spazio a vitigni di questa terra meno cantati e decantati, quelli a bacca bianca. Così, in Romagna è l’ora del riscatto per i vini bianchi, che nulla hanno da invidiare ai ‘cugini’ di altre regioni, in particolare a quelli aromatici. Vitigni autoctoni, capitanati dall’Albana, prima Docg d’Italia a bacca bianca per troppo tempo associata solo alla versione dolce, che esprimono quel territorio che dalle colline degrada verso la riviera adriatica. E proprio dal territorio la Romagna del bianco vuole ripartire per puntare a uno sviluppo dell’enoturismo che da queste parti è ancora agli albori ma che ha enormi potenzialità. A trainare il rilancio è il Club dei bianchi di Romagna, sodalizio nato nel 2017 per volontà di alcuni produttori e che oggi associa 12 cantine, unite da un comune obiettivo: promuovere i vini bianchi di Romagna, renderli memorabili, creando visibilità e reputazione, favorendone la conoscenza e la diffusione, cominciando dal territorio romagnolo, per estendersi all’intera Penisola.
“Da oltre un decennio i vini di Romagna – spiega Maurizio Magni, coordinatore del Club Bianchi di Romagna – hanno alzato con decisione l’asticella di qualità e piacevolezza mantenendo allo stesso tempo un buon rapporto qualità-prezzo. Il percepito del vino romagnolo, però, a livello nazionale e in parte nella stessa Romagna, rimane al di sotto dell’effettivo valore del prodotto. La riprova è la scarsa diffusione dei bianchi di Romagna nei locali pubblici del territorio, presenti solo in maniera episodica nelle carte dei vini dei ristoranti, grandi assenti nei wine bar all’ora dell’aperitivo, praticamente introvabili sulle tavole degli hotel della Riviera”.
“Quello del Club è un progetto di condivisione – sottolinea – per promuovere questo territorio a partire dai vini bianchi, che hanno bisogno di essere valorizzati, di uscire dal limbo: è un peccato, infatti, che non abbiano ancora grande notorietà perché hanno molto da esprimere. Attraverso il Club, vogliamo far emergere la qualità dei bianchi romagnoli, per troppo tempo rimasti nell’ombra. Promuovere il territorio, attraverso questo simbolo culturale che è il vino bianco di Romagna, è una grande opportunità per lo sviluppo dell’enoturismo: chi viaggia oggi cerca cose da scoprire e la Romagna ha molto da scoprire”.
Nella Romagna del vino, dunque, c’è un mondo ‘in bianco’. Ci sono i classici autoctoni di grande pregio come l’Albana, i cui grappoli dalle colline del Cesenate si rincorrono verso Bertinoro e fino a Dozza. Un vitigno, l’Albana, in piena rinascita in qualità e quantità, tanto da registrare una crescita di quasi 200mila bottiglie prodotte nel volgere di tre anni (dalle 578mila nel 2017 alle 756mila nel 2020, secondo i dati del Consorzio Vini di Romagna). C’è, poi, il Trebbiano (il vitigno più diffuso con quasi 14.200 ettari coltivati), protagonista negli ultimi anni della nuova Doc ‘Romagna Spumante’ che apre a un futuro di bollicine, grazie anche al marchio collettivo ‘Novebolle’. Ma anche il Grechetto gentile, che sui colli di Rimini prende il nove di Rebola, mentre a Imola e sui colli bolognesi diventa Pignoletto, e il Pagadebit (bombino bianco) diffuso in tutta la Romagna. Senza dimenticare i vitigni minori e quelli riscoperti come il Famoso (Rambèla, nella Bassa Romagna), che dopo anni di abbandono sta avendo successo grazie alla sua aromaticità. E poi un’infinità di altri vitigni anche internazionali come il Pinot bianco, il Sauvignon blanc, il Riesling o lo Chardonnay che crescono a loro agio nei terroir romagnoli.
Vini e vitigni che negli ultimi anni, grazie allo sforzo e alla sperimentazione in vigna e in cantina dei vigneron romagnoli, coadiuvati da una schiera di enologi e agronomi, hanno prodotto vini eccellenti. Così, fermamente convinti del valore e della piacevolezza dei propri vini, un’avanguardia di imprenditori romagnoli sta scommettendo sui vini bianchi, con la consapevolezza che proprio sui bianchi si giocheranno le sfide commerciali del futuro. Fanno parte del Club: Ballardini (Forlì), Branchini (Imola), Celli (Bertinoro), Fondo San Giuseppe (Brisighella), Merlotta (Imola), Monticino Rosso (Imola), Randi (Fusignano), Tenuta Saiano (Torriana), Tenute d’Italia (Imola), Tenuta Uccellina (Russi), Tenuta Masselina (Castelbolognese), Zavalloni (Cesena).
C’è chi punta sulle bollicine romagnole, come spiega Marco Branchini, che rappresenta l’azienda famigliare più antica di Romagna, nata a Imola nel 1858: “Vogliamo proseguire con questo progetto e l’Albana si presta”. Una tendenza, quella della spumantizzazione degli autoctoni, che sta prendendo piede, come assicura il sommelier Giovanni Solaroli. A confermarlo Marco Canè, di Merlotta, azienda di Imola con 60 anni di storia: “Faremo spumantizzazione di Albana in Metodo Classico da quest’anno”. Ad annunciare l’idea di un Metodo classico da Albana anche Giorgio Ossani, dell’azienda Ballardini di Brisighella – che tiene a sottolineare la “cura” nella produzione che mettono i romagnoli – e Stefano Zavalloni, sesta generazione dell’azienda sulle colline di Cesena, che parla anche di “letterale esplosione dell’Albana secco, che prima facevamo solo dolce”.
Marco Spadoni, di Tenuta Saiano, esempio di filiera corta agroalimentare nella zona di Rimini, punta molto sul Rambèla, “vitigno che stiamo ancora studiando”. Mentre alla valorizzazione del Trebbiano guarda, tra l’altro, Fondo San Giuseppe nato nel 2008 a Brisighella, come assicura il sommelier Vitaliano Marchi. Dunque, come osserva Hermes Rusticali, di Tenute Uccellina, azienda di Russi (Ravenna), che ha sempre creduto nelle potenzialità delle uve tradizionali di Romagna, “il territorio può essere comunicato attraverso questi vini, alcuni anche di nicchia, ancora poco conosciuti ma che negli ultimi anni hanno cominciato a essere recepiti e richiesti dal pubblico”. Mauro Sirri, dell’azienda di famiglia Celli a Bertinoro, afferma che “il mercato sta rispondendo in modo interessante, anche quello internazionale, e speriamo che sia un successo per la Romagna intera”.
E nell’anno del Covid anche i produttori romagnoli hanno risentito della crisi che ha colpito il comparto con il blocco dell’horeca. “Quest’anno ci è servito comunque per crescere, per portare avanti progetti, abbiamo creato nuove cuvée”, dice Annalisa Linguerri della Fattoria Monticino Rosso di Imola, fra le prime a sperimentare nuove tecniche per l’Albana e a credere in questo vitigno frutto della Romagna. Un anno difficile anche per Randi, azienda agricola nata a Fusignano (Ra) a fine ‘800. “Abbiamo cercato di rimanere attivi e vicini ai nostri clienti lavorando molto sulla comunicazione”, racconta Massimo Randi. E tra i progetti da portare avanti anche quello dell’ospitalità: “Abbiamo creato una sala per l’accoglienza – prosegue – proprio per raccontare il territorio e speriamo di spingere sempre di più l’enoturismo; puntiamo da sempre sugli autoctoni e siamo convinti che sia la strada giusta”.
I produttori romagnoli, infatti, stanno pensando sempre di più ad attrezzarsi per l’accoglienza in vista di uno sviluppo in chiave enoturistica del territorio. E’ il caso di Tenute d’Italia, rete d’impresa nata 13 anni fa che riunisce alcune aziende agricole dell’Imolese che fanno riferimento a un’unica commerciale, la Morini. Come afferma il responsabile enologo e socio, Luca Garelli, “crediamo molto nell’enoturismo, stiamo facendo investimenti per adeguare le strutture per l’ospitalità; abbiamo anche creato una startup proprio per far meglio conoscere il prodotto e il territorio e offrire un’esperienza al turista”. Uno spirito sposato in pieno da Tenuta Masselina di Castelbolognese (Ra), come sottolinea Elena Piva: “Stiamo sviluppando un modello di accoglienza che per noi è una sfida, quella di portare i turisti anche in collina come meta perché ne vale la pena e per questo cerchiamo di fare sistema con gli altri produttori”. E a dare valore a questo progetto di marketing territoriale anche la collaborazione con i ceramisti faentini, la cui arte rivive nelle anfore di argilla e nelle etichette dell’azienda, a raccontare ancora una volta una Romagna inedita.