Il Flaminio è stato scartato per impraticabilità, resistono Pietralata e Fiumicino. E soprattutto Tor Di Valle. Lo stadio della Roma rimane un rebus, è ancora impantanato tra pratiche e intoppi burocratici. Dove sorgerà la nuova casa giallorossa non lo sa nemmeno Friedkin, che lavora per scoprirlo, diviso tra l’idea di continuare nel progetto avviato da Pallotta e azzerare tutto e ripartire da capo.
Tor Di Valle rimane una corsa a ostacoli: il progetto, nato sotto la precedente gestione quasi 10 anni fa, aspetta l’ultimo ok del Comune di Roma. Ma i tempi rischiano di allungarsi ancora e la pazienza dei Friedkin è messa a dura prova. Intanto si è chiuso il processo di primo grado relativo alla gestione dei terreni dell’ex Ippodromo, che ha portato alla condanna a tre anni per l’imprenditore Gaetano Papalia e all’assoluzione degli altri due imputati Mauro Ciccozzi e Michele Saggese.
Se non è una maledizione quella di Tor Di Valle poco ci manca. Ma non sarà questo a frenare i Friedkin nella scelta della zona, semmai i dubbi legati alla lentezza della pratica, l’incognita Covid e la trattativa con Vitek. L’imprenditore ceco, che entro i primi di marzo dovrebbe incassare il sì di Parnasi per la cessione di terreni e progetto, ha proposto in cambio di una linea di credito garantita di un miliardo di euro l’ingresso nelle quote azionarie della società.
Friedkin per il momento ha declinato l’offerta, prende tempo per pensarci su e prepara una nuova proposta: chiedere a Vitek di farsi carico di gran parte della copertura dei costi delle opere pubbliche.