È morto oggi all’età di 77 anni Kang Kek Iew, noto come compagno Duch, uno dei più feroci responsabili del genocidio cambogiano. Prima di unirsi all’Angkar nel 1967, il partito comunista di Pol Pot, Duch era un professore di matematica. Dopo aver affinato le tecniche di tortura, nel 1975 gli fu affidata la direzione del carcere di massima sicurezza di Phnom Penh, il famigerato S-21, dove tra il 1975 e il 1979 furono incarcerate tra le 12mila e le 20mila persone. Ne rimasero in vita solo 12 documentate. I khmer rossi dovevano pulire il paese dai traditori: dissidenti, intellettuali, borghesi, donne, bambini. Fu uno dei regimi più violenti del XX secolo. In quegli anni morirono circa due milioni di persone, quasi un terzo della popolazione di allora, tra esecuzioni di massa, deportazioni nei campi della morte, stenti, bombardamenti americani.
Duch fu il primo tra i leader della Kampuchea Demokratica, il nome con cui il regime aveva chiamato l’attuale Cambogia, ad essere processato. Apparso in tribunale per la prima volta nel 2009, fu accusato di crimini contro l’umanità e condannato a 30 anni di prigione da un tribunale speciale, istituito da un accordo tra governo cambogiano e Nazioni Unite. Pena aumentata all’ergastolo in appello nel 2012 per i suoi crimini “atroci” contro la popolazione. Responsabilità ammesse dallo stesso comandante, che però si è sempre giustificato dicendo di aver obbedito agli ordini. L’incarnazione assoluta della banalità del male. Nel novembre 2018 furono condannati all’ergastolo per genocidio altri due alti dirigenti del regime: Nuon Chea, il fratello numero 2, braccio destro di Pol Pot, e Kieu Samphan, ex capo di Stato della Kampuchea Demokratica dal 1976 al 1979. Nuon Chea morì nell’agosto 2019, mentre il “capo supremo” del regime, Pol Pot, nel 1998 in circostanze mai chiarite.
Oggi il vecchio carcere S-21, luogo di torture e sofferenze, è il museo del genocidio cambogiano. Prima della guerra civile era una scuola secondaria, dove tra i libri e le risate degli studenti la vita scorreva serena e la cultura fioriva. Quel posto veniva chiamato Tuol Sleng, la collina del mango selvatico.
Mario Bonito