Per un giovane con la Malattia di Crohn il cibo diventa fonte di stress in famiglia (6 casi su 10), causa situazioni spiacevoli con gli amici (circa 1 su 2), complica la scuola (8 su 10). Così questa malattia cronica dell’intestino – che solo in Italia colpisce circa 150.000 mila persone, di cui un 25% con diagnosi prima dei 20 anni – alimenta il disagio nutrizionale dei pazienti, che soprattutto in età pediatrica e durante l’adolescenza soffrono una vita sociale limitata (71%) e si sentono emarginati dai propri coetanei (41%). E’ il quadro che emerge dall’indagine del centro EngageMinds Hub dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, della campagna sociale “Crohnviviamo – Storie di giovani che la malattia di Crohn non può fermare”, promossa da Nestlé Health Science – con il supporto di Modulen, alimento a fini medici speciali per chi ha la Malattia di Crohn – in collaborazione con l’associazione ‘Amici Onlus’.
Lo studio, presentato in occasione della Giornata mondiale delle malattie infiammatorie croniche dell’intestino (Mici) del 19 maggio, mette in luce il forte impatto dell’alimentazione sulla qualità di vita (67%) e sulla quotidianità (59%) dei pazienti. “Le scelte alimentari, soprattutto nella cultura italiana, sono parte integrante della qualità di vita e della socialità delle persone e quindi fortemente intrecciate con la psicologia. Anche gran parte dell’identità delle persone si esprime attraverso il cibo che selezionano e che preparano: per chi ha la Malattia di Crohn essere obbligati a rinunce o limitazioni nella propria dieta è fonte di grande frustrazione emotiva e rischia di compromettere il senso di inclusione sociale e di auto-efficacia delle persone”, commenta Guendalina Graffigna, direttrice del centro EngageMinds Hub che ha condotto l’indagine.
A fare da apri-pista nella lista dei cibi considerati più problematici per chi ha le Mici ci sono gli alimenti piccanti (76%), alcolici (65%), fritti (64%) e fast food (64%), in linea con le raccomandazioni dei medici. Questa mancanza di piacere del cibo, dovuta alle restrizioni, si lega anche alla preoccupazione scatenata dall’assunzione di cibo considerato pericoloso, che può far ‘scappare’ improvvisamente alla toilette: il 50% delle persone con Mici, infatti, ha confermato che nella settimana precedente all’intervista ha avuto questo tipo di preoccupazione. Ne consegue che chi ha la Malattia di Crohn sente la mancanza di poter mangiare e bere come ‘chiunque altro’. Il 46% si sente protagonista di ‘situazioni spiacevoli’ nel condividere i pasti con i suoi pari e più della metà dei partecipanti ritiene che la gestione dei pasti in famiglia sia causa di stress.
L’altra faccia della medaglia emersa dall’indagine riguarda l’aspetto relazionale, correlato fortemente a quello nutrizionale: infatti, oltre agli alimenti più problematici, tra i cibi su cui si ‘sgarra’ più facilmente vengono riportati biscotti, cioccolata e prodotti dolciari: tutti prodotti comuni sulla tavola degli adolescenti e snack preferiti per la scuola o tra amici. Ecco, quindi, che al disagio nutrizionale va a sommarsi il fattore della vergogna e dell’emarginazione, che il 41% degli intervistati dichiara di percepire a causa della malattia, sentimento confermato anche dal 36% dei genitori”.
“I numeri dimostrano un impatto psicologico e sociale forte della malattia, che va aumentando dopo gli esordi e la diagnosi, che si attesta intorno ai 17 anni: la stessa età di Diego Costi, giovane con la malattia di Crohn impegnato attivamente nella campagna “CrohnViviamo” e Alfiere della Repubblica Italiana per il suo impegno nel campo nutrizione, a fianco di chi, come lui, ha la patologia.
“Solitamente si parla tanto delle proprietà nutrizionali dei vari cibi e del loro effetto a livello fisico, ma spesso – sottolinea Salvatore Leone, Direttore generale Amici Onlus – si trascura che ciò che mangiamo contribuisce a nutrire anche la sfera psichica. Mente e cibo sono strettamente interconnessi e si influenzano a vicenda. Il tipo di alimentazione, infatti, determina non solo la nostra salute fisica, ma anche quella mentale, il nostro stato d’animo, la qualità dei nostri pensieri, e persino i nostri comportamenti. Il trattamento nutrizionale risulta, pertanto, fondamentale in questi pazienti, perché – spiega – una corretta alimentazione serve a migliorare la qualità della vita e si inserisce nel tema della Giornata mondiale delle Mici 2021, che si celebra il 19 maggio: ‘il benessere della persona affetta da MICI e l’impatto psicologico di queste patologie'”.
Per una malattia infiammatoria cronica che colpisce l’intestino, la nutrizione è un fattore cruciale: circa il 70% dei pazienti (e il 77% dei genitori con figli con Mici) ha affermato, infatti, di prestare attenzione all’alimentazione e di seguire uno specifico regime alimentare concordato col gastroenterologo, che in 1 caso 4 consiglia anche di consultare un dietologo o nutrizionista. Inoltre, 6 persone su 10 dichiarano che l’attenzione all’aspetto nutrizionale è aumentata rispetto all’esordio della malattia, aspetto confermato anche da 4 genitori su 10.
“Nel considerare gli aspetti terapeutici per il paziente con Malattia di Crohn non si può non considerare la nutrizione, fondamentale per tenere sotto controllo la patologia infiammatoria ed evitare riacutizzazioni della stessa”, commenta Antonella Diamanti, responsabile Uos Riabilitazione Nutrizionale dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma. “Vista l’importanza della nutrizione, è necessario che si instauri una comunicazione continuativa ed efficace tra gastroenterologo, nutrizionista e paziente per, e garantire alle persone con Mici l’accesso a informazioni puntuali e corrette, soprattutto per i pazienti in giovane età”.
La fonte principale delle informazioni riguardanti le MICI è il gastroenterologo, ma solo il 28% dei pazienti lo ha contattato di frequente, lasciando intendere la ricerca e l’appello ad altre fonti di informazione. Tra queste, spicca l’utilizzo di internet sia tra le persone malate (65%) che dai genitori (76%): 1 partecipante su 4 cerca di frequente informazioni riguardo la nutrizione sul web e il 38% fa ricerche online di tanto in tanto. L’indagine rivela, poi, che, nonostante il consulto di medici specialisti, le diete che vengono portate avanti sono la summa dell’esperienza del paziente e di un lungo processo di prove ed errori.
Il gap conoscitivo più significativo a livello di medico-paziente che si evince dall’indagine riguarda gli Alimenti a fini medici speciali (Afms): la maggioranza dei partecipanti (77%) dichiara di non aver ricevuto alcuna raccomandazione o prescrizione all’uso di Afms e il 71% dei medici dichiara di prescriverli solo ad alcuni pazienti, soprattutto nelle fasi acute della malattia. Nonostante ciò, chi tra le persone con Mici ha fatto uso di AFMS, si ritiene molto soddisfatto, con un’assunzione anche in fase di mantenimento, da cui si deduce l’importanza di affiancare al regime dietetico questi prodotti.
“Da sempre cerchiamo di proporre soluzioni nutrizionali innovative che hanno un effetto terapeutico e permettono di migliorare l’adesione alla terapia dietetica e apportano benefici nella qualità di vita dei pazienti”, dichiara Marco Alghisi, Beo Nestlé Italia e Malta. “Con un ampio portfolio di prodotti attivo nel campo della nutrizione medicale, abbiamo a cuore lo sviluppo di Afms, come Modulen per la malattia di Crohn, basati su evidenze scientifiche, per consentire ai consumatori, ai pazienti e agli operatori sanitari che li assistono di vivere una vita più sana”.
A ulteriore conferma delle sfide e difficoltà derivanti dalle Mici in età adolescenziale che vanno ad influire sull’ambiente sociale, familiare e scolastico, la campagna “Crohnviviamo” continuerà con un’indagine qualitativa-narrativa al fine di dare voce alle storie ed esperienze dirette dei pazienti, per cogliere l’impatto emotivo delle rinunce alimentari sulla quotidianità e le relazioni sociali ed essere al loro fianco nel cercare di migliorare la loro qualità di vita.