La Cassazione cala la scure sulla cannabis light. Dopo la dichiarazione di guerra da parte di Matteo Salvini ai prodotti di derivazione dalla cannabis, ora la Corte ha deciso di bloccare ufficialmente e definitivamente un settore che stava vivendo una fase particolarmente florida.
La Consulta quindi ha ribadito che la legge italiana non permette di vendere o cedere ad altro titolo qualunque prodotto derivato “dalla coltivazione della cannabis”.
Aggiornamento ore 00.15
La presa di posizione della Cassazione sul commercio della cannabis light non dipende da quale parte della pianta viene utilizzata per la produzione. Come ha spiegato la Consulta, che si utilizzi l’olio essenziale, le foglie, le inflorescenze o la resina, qualunque utilizzo è proibito ed integra il reato che viene enunciato nel Testo unico sulle droghe ((articolo 73, commi 1 e 4, dpr 309/1990).
La legge quindi punisce “le condotte di cessione, di vendita, e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”. Per i giudici della Cassazione, il commercio di prodotti di cannabis Sativa L non è riconducibile alla coltivazione agroindustriale della canapa.
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Dopo la notizia della sentenza della Cassazione, si attende di sapere le motivazioni ufficiali dei giudici per approfondire la questione. Per il momento, la Corte ha chiarito che legge del 2016 “qualifica come lecita unicamente l’attività di coltivazione di canapa delle varietà iscritte nel catalogo comune delle specie di piante agricole, che elenca tassativamente i derivati dalla predetta coltivazione che possono essere commercializzati”.
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