“Dal ricordo del Milite ignoto, arriva un messaggio sull’importanza del patriottismo, dell’eroismo nella vita quotidiana di ogni giorno, nei piccoli come nei grandi gesti, e sulla volontà e sulla capacità di impegnarsi per superare sempre i gravi problemi, gli ostacoli che si manifestano nella vita”. Così all’Adnkronos Luciano Brambilla, nipote del tenente degli Arditi Augusto Tognasso, che per volontà del ministro della Guerra, Luigi Gasparotto, fece parte della commissione che ebbe il compito di cercare undici salme di soldati senza nome nei luoghi in cui erano avvenute le battaglie più cruente della Grande Guerra, poi deposte nel monumento al Milite ignoto nell’Altare della Patria.
“In questo anniversario del centenario – racconta Brambilla – provo grande emozione e orgoglio e non solo personale. Sono cresciuto nel culto di mio nonno, che a soli 24 anni era un invalido della Grande Guerra: senza poter usare una gamba e un braccio, con 36 ferite e schegge di granata nel corpo, è riuscito a vivere una vita dignitosa e coraggiosa. E’ stato un grande esempio. Un messaggio di vita che ha segnato profondamente anche me stesso, che per 13 anni sono stato nella Polizia”.
“Mio nonno partecipò prima come volontario nella guerra di Libia, poi fu arruolato nella Grande Guerra e, nonostante il suo corpo gravemente segnato, nella Seconda Guerra Mondiale fu comandante partigiano. Non era un esaltato, ma un uomo che, forgiato dalle sofferenze e dai sacrifici per un bene superiore seppe essere un eroe del quotidiano”, sottolinea il nipote. Dal ricordo delle imprese del tenente degli Arditi Augusto Tognasso, che dopo Caporetto fondò la Legione dei Mutilati e prese poi parte all’avventura fiumana di Gabriele d’Annunzio, per Luciano Brambilla arriva anche un monito per l’Italia di oggi: “L’esempio di mio nonno ci aiuta a capire l’importanza di ripartire sempre dopo ogni grande difficoltà. Essere eroi nella vita di ogni giorno significa perseguire valori superiori. Il nonno, scomparso nel 1973, per tutta la vita sorrise delle proprie infermità, non si vergognò, anzi le esibiva come se fossero parte di sé”.
(di Paolo Martini)