Verità per Giulio Regeni si legge nei cartelli di protesta che ormai sono diventati da tre anni un vero must. Giulio Regeni rappresenta nei fatti una delle pagine più misteriose degli ultimi anni della storia italiana. Giulio Regeni tre anni fa veniva rapito a Il Cairo: non ci sono ancora colpevoli, ma solo i primi indagati.
Nel terzo anniversario del rapimento di Regeni manca ancora ciò che più conta e cioè semplicemente la verità. Le indagini sono bloccate, anche se la collaborazione giudiziale fra Italia ed Egitto sembra proseguire, ancorché senza esiti. In un fosco quadro generale nel quale sembrano essere parte in cause interessi da parte egiziana e una certa volontà politica ed interessi particolari che spaziano dalla Libia alle logiche geopolitiche del gas, il giovane ricercatore friulano rapito il 25 gennaio 2016 e ritrovato cadavere con chiari segni di drammatiche torture il 3 febbraio sul ciglio di una strada alla periferia del Cairo, non può ancora essere abbracciato dalla giustizia di una verità sostanziale.
Rumors e indiscrezioni di novità di indagini rimbalzano di qua e di là. Secondo alcune testimonianze di agenti e ufficiali della National Security Agency (Nsa) sembra che la stessa Nsa avesse archiviato il tentativo del capo degli ambulanti cairoti, Mohammed Abdallah, di vedere in Regeni una “spia”. Tuttavia nuovi sviluppi circa i tabulati telefonici sembrano poter confermare che in realtà la Nsa il 25 gennaio contattò un capo di polizia distrettuale proprio all’ingresso della stazione della metropolitana in cui Regeni sparirà poche ore dopo. Lo stand by che si creò fra magistrati italiani ed egiziani è durato in qualche modo fino all’episodio de Il Cairo del 28 novembre scorso: si apprese che i pm della Procura di Roma avrebbero iscritto nel registro degli indagati cinque ufficiali dei servizi segreti civili egiziani accusandoli di sequestro di persona.
La Procura generale egiziana comunicò di non poter fare altrettanto in quanto in Egitto non sussiste un istituto analogo al registro degli indagati e anche perchè secondo la loro visione dei fatti non vi sarebbero “solide” prove di colpevolezza per istruire un processo. L’iscrizione è stata analizzata da molti come una risposta verso l’”ultimatum” del vicepremier Luigi Di Maio, che ad agosto, aveva indicato nella “fine dell’anno” il termine per dare una “svolta” del caso Regeni ed alla parole del presidente della Camera, Roberto Fico, che dichiarò la sospensione delle relazioni con il parlamento del Cairo. Resta sullo sfondo, inoltre, la dichiarazione del comunicato congiunto delle due procure sull’incontro del 28 novembre: “le parti hanno riaffermato la determinazione a proseguire le indagini e incontrarsi nuovamente nel quadro della cooperazione giudiziaria, sino a quando non si arriverà a risultati definitivi nell’individuazione dei colpevoli dell’omicidio di Regeni”.