Sono le 14.17 del 1994, ventisei anni fa, quando la Williams di Ayrton Senna esce di pista ad altissima velocità alla curva del Tamburello del Gran Premio di San Marino, durante il settimo giro. Poi lo schianto, i soccorsi, la corsa in elicottero all’ospedale di Bologna, il mondo con il fiato sospeso. Fino alle 18.40, quando il cuore ha cessato di correre.
Senna era un campione vero, d’altri tempi, uno dei più grandi piloti che hanno bruciato le gomme nei circuiti di Formula 1. Appartengono alla storia i tre mondiali vinti con la McLaren nel ’88, ’90 e ’91, così come la rivalità con il ‘professore’, Alain Prost, suo compagno di scuderia nel primo anno con la McLaren. “Non potrei immaginare la mia carriera senza Alain”, scherzava Senna.
Aveva 34 anni quel maledetto primo maggio del ’94. Una storia ancora da scrivere. Eppure non voleva neanche partecipare a quella corsa, già segnata dall’incidente di Rubens Barrichello alle prove del venerdì e dalla tragica morte del pilota austriaco Roland Ratzenberger, che nelle prove del sabato si schiantò contro il muro esterno della curva intitolata a Gilles Villeneuve. Era il suo primo anno di Formula 1. Un incidente che aveva sconvolto Senna, che decise di correre il giorno dopo con la bandiera austriaca nella monoposto in onore del collega. L’avrebbe voluta sventolare forte una volta tagliato il traguardo. Avrebbe dovuto farlo.
Non fece in tempo. Quella maledetta curva strappò per sempre quello sguardo magnetico e malinconico del pilota di San Paolo, sempre rivolto a Dio, a cui era fortemente devoto e al quale si avvicinava ogni volta che portava la sua monoposto a 300 chilometri orari.
Mario Bonito