Ogni anno il Primo Maggio è l’occasione per celebrare le virtù del lavoro e denunciarne scarsa qualità e quantità. Da un paio di decenni si attendono cambiamenti, riforme, incentivi e intanto si fanno i conti con le trasformazioni tecnologiche, organizzative e generazionali che avanzano, accelerano, mutano il quadro. Ma, commenta una nota di Manageritalia “non succede mai nulla, il mondo del lavoro è rimasto mentalmente nel Novecento, mentre tutto intorno cambia. Ancor più oggi e in prospettiva”.
“Dopo quest’anno terribile – dice Mario Mantovani, presidente Cida e Manageritalia – nelle nostre imprese la Resilienza non manca, la Ripresa invece ancora non si vede, ma abbiamo un Piano Nazionale e una guida sicura, almeno in questa fase. E attendiamo di abbeverarci alla sorgente delle nuove risorse europee, a fondo perduto e a debito, di dimensioni almeno paragonabili a quelle del disastro ancora in corso. Speriamo tra un anno di vedere il segno + nella crescita e di contare i nuovi posti di lavoro, tra due o tre anni contiamo di riportare gli indicatori macroeconomici ai livelli del 2019. Ci sono le premesse per riuscirci, ma riusciremo a superare le debolezze strutturali, ad affrontare più forti le nuove possibili crisi?”
Il Primo Maggio è da sempre festa per chi lavora, giorno di preoccupazione per chi è disoccupato, cassintegrato, sottoccupato, per chi ha un contratto in scadenza, per chi lavora in aziende in crisi, per chi vede la propria professionalità impoverirsi, per chi emette fatture sempre più basse e per chi medita di provare a non emetterle più e cessare l’attività. Per questo, osserva Manageritalia, “oggi, come non mai, dobbiamo ripartire dal mettere al centro le persone, che in azienda sono risorse preziose, da valorizzare, da ricercare e formare, una leva di crescita, non un costo da ridurre. Sono il vero fattore distintivo e, a ogni livello, orientano e finalizzano la ricerca, la capacità realizzativa, la creatività, il servizio, le emozioni e le esperienze e lo sviluppo sostenibile in azienda”.
“Tutto dipenderà dal lavoro, dalla sua quantità, ma soprattutto – continua Mantovani – dalla qualità. Per alimentare l’una e l’altra dobbiamo però cambiare paradigma, compiendo un salto nel nuovo. Servono coraggio, competenza e una guida sicura: noi manager dobbiamo essere i Draghi delle nostre imprese, dei nostri settori, della società italiana che riparte. E lo fa cominciando dall’anacronistica distinzione tra lavoro subordinato e autonomo, puntando a un modello di lavoro organizzato che comprenda la gran parte delle due attuali tipologie coniugando protezione e flessibilità, e costruisca un welfare universale con il modello della sussidiarietà. I dirigenti lo hanno realizzato prima di tutti, ma ora il modello si può estendere. Occorre anche il coraggio di ridurre la tassazione sul lavoro per tutti, non solo per le fasce di reddito più basse, incentivando la crescita professionale e lo sviluppo delle professionalità, che già oggi mancano. Nel giro di dieci anni mancheranno clamorosamente e dovremo attrarle nel nostro Paese”.
Con quasi 1 milione di disoccupati in più in un solo anno e un’occupazione già bassa e troppo spesso di scarsa qualità non c’è tempo da perdere per costruire un lavoro a misura di persone e aziende, della competitività e sostenibilità del Paese. Infatti, secondo l’ultima rilevazione Istat, le ripetute flessioni congiunturali dell’occupazione, registrate dall’inizio dell’emergenza sanitaria fino a gennaio 2021, hanno determinato un crollo dell’occupazione rispetto a febbraio 2020 (-4,1% pari a -945mila unità). La diminuzione coinvolge uomini e donne, dipendenti (-590mila) e autonomi (-355mila) e tutte le classi d’età. Il tasso di occupazione scende, in un anno, di 2,2 punti percentuali.
“Bisogna scegliere come gestire i nuovi contratti di lavoro – conclude Mantovani – svincolando le norme e i Contratti Collettivi dalla regolamentazione di orario e luogo. Il livello più adeguato è quello aziendale, legato alle concrete esigenze (e ai diritti) di presenza, di disponibilità, di lavoro a distanza. Dobbiamo passare non tutti allo smart working, ma a un lavoro davvero smart, intelligente, per tutti. Il Primo Maggio 2021 deve essere l’ultima Festa del Lavoro vecchio. O d’ora in poi ci sarà poco da festeggiare”.